PAOLO BALTARO - Intervista all'Artista


Sei appena uscito sul mercato discografico con un nuovo album in studio, puoi presentarlo ai nostri lettori?

E’ il mio secondo disco solista, una raccolta di brani legati uno all’altro dall’idea di creare colonne sonore per film immaginari che rappresentano realtà parallele, concepito per essere ascoltato preferibilmente dall’inizio alla fine. 

Come si è districata la tua formazione da musicista?

La fortuna di aver fatto parte degli Arcansiel giovanissimo mi ha portato a sviluppare inizialmente un linguaggio vicino al rock progressivo ma mi sono presto sentito stretto in quel genere. Voglio sentirmi libero, non amo le etichette perché è così che sono nella vita di tutti i giorni. Amo l’instabilità e l’essere aperto a tutto e al suo contrario, la mia musica  è il riflesso di tutto questo. 

Come hai scelto il titolo del disco?

La frase “The day after the night before” rappresenta in inglese il modo di esprimere la sensazione della mattina dopo una sbornia. Me l’ha suggerita Eric Rose, mio grande amico di Vancouver, manager delle mie date londinesi. Questo disco rappresenta sei anni della mia vita dopo “Low Fare Flight to the Earth”, il mio disco precedente. Una sbornia di esperienze durata 6 anni. 


A cosa ti ispiri quando componi?

In questo disco le mie principali fonti d’ispirazione sono state Londra e Amsterdam.

Quali sono gli elementi della tua musica che possono incuriosire un vostro potenziale ascoltatore e quali sono quindi le qualità principali del tuo nuovo album?

Non ne ho un’idea precisa, chi ascolta la mia musica si è sempre dimostrato un pubblico eterogeneo e trasversale. Nei miei brani è presente il rock progressivo, il punk, il jazz, il pop e la sperimentazione perché io sono tutte queste cose nella vita, e il mio pubblico credo si incuriosisca perché trova in me uno come loro, che se ne frega altamente di rispettare i canoni della coerenza in funzione dell’espressione di ciò che si è. Degli esseri umani complicati e affascinati da tutti gli aspetti dell’esistenza.

Come nasce un tuo pezzo?

Da una immagine nella mia mente, non necessariamente reale, che diviene ossessiva. Quell’immagine mi accompagna dalla prima scrittura al missaggio del brano. Puo’ essere una strada, una faccia, una nevicata o una visione lisergica ma è riferendomi a quel modello che mi viene fuori la canzone. Il più delle volte non è un’immagine che scelgo, è lei che sceglie me, mi passa per la testa ed io non posso far altro che chiederle di fermarsi e di posare per me.


Quale è il brano di questo nuovo disco al quale ti senti particolarmente legato sia da un punto di vista tecnico che emozionale?

E’ come chiedere a qualcuno: Quale dei tuoi figli ami di più? Non posso proprio rispondere a questa domanda, gli altri brani potrebbero incazzarsi… 

Quali artisti hanno influenzato maggiormente il tuo sound?

Sono gli stessi artisti dei quali mi sono innamorato nelle varie fasi della mia vita. Primi su tutti i Beatles, poi Burt Bacharach, i Doors, Frank Zappa, Jimi Hendrix, John Coltrane, i Pink Floyd, Hatfield and the North, i Led Zeppelin, gli Iron Maiden, i Depeche Mode, i Sigur Ros, i Cure, i Sex Pistols e credo anche un po’ Lucio Battisti… ne ho scordato senz’altro qualche altro centinaio.


Quali sono le tue mosse future? Puoi anticiparci qualcosa? 

L’11 di febbraio presenterò il disco al Garage di Londra, con Joe Dochtermann alla chitarra, Enrico Caruso alle tastiere e Daniele Mignone al basso, poi partirà un tour. In parallelo sta per uscire il nuovo disco di Sound Wall Project, con Colin Edwin dei Porcupine Tree al basso con la produzione e le tastiere di Andrea Bonizzi, dove io sono chitarrista. Sempre quest’anno usciranno altri due dischi, uno con la grande cantante brasiliana Lica Cecato, prodotto da me, e l’altro con Laura Guidi, artista berlinese, con la quale sto registrando il nuovo disco proprio questi giorni, come batterista, in un fantastico studio a pochi metri dai resti del muro. 

Come giudichi la scena musicale italiana e quali problematiche riscontri come artista?

Quella passata contiene elementi a mio parere molto interessanti. Ti faccio qualche esempio: Area, PFM, Banco, ma anche Rettore, Mina, Battisti, Dalla, per non parlare di quella Jazz: Rava, Gaslini, Bollani, Ranghino… Mi piacciono molto anche diversi produttori italiani, Colombo, Vernetti, Caruso, Milani… Per quanto riguarda invece la scena contemporanea italiana direi che mi sento un po’ distante da tutto, Xfactor e i talent in genere mi fanno abbastanza schifo, “Andiamo a comandare” mi diverte, ma è un giochino… L’hip hop italiano in genere lo trovo un po’ stupidino… ma probabilmente è un limite mio. E poi oggi in Italia è tutto così politicamente corretto, mi dà la nausea, davvero, non ce la faccio. E non solo nella musica…

Internet ti ha danneggiato o ti ha dato una mano come musicista?

Né l’uno né l’altro, io lo vivo come un nuovo mezzo di comunicazione, lo accetto come accetto, con entusiasmo, i cambiamenti della vita. Forse vendo qualche cd in meno, visto che ora si scarica gratis… questo è il motivo per il quale la mia etichetta ha deciso di pubblicare il disco anche in vinile.


Il genere che suoni quanto valorizza il tuo talento di musicista?

Non è che il genere valorizzi me in quanto musicista. Semplicemente mi consente di rappresentare me stesso e i miei mondi immaginari, è uno strumento, un linguaggio, in continua evoluzione e contraddizione. Politicamente molto scorretto, dal punto di vista formale.

C’è un musicista con il quale vorresti collaborare un giorno?

Ringo Starr.

Siamo arrivati alla conclusione. Ti va di lasciare un messaggio ai nostri lettori?

Se vi piace il metal, ascoltate i dischi dei Toxic Poison. Sono dei bravi ragazzi. Anche l’ultimo dei Niamh che uscirà quest’anno sarà figo. Peace, love and fun a tutti.

Maurizio Mazzarella