JOE SAL - Intervista all'Artista


Sei appena uscito sul mercato discografico con un nuovo album, puoi presentarlo ai nostri lettori?

-“Live at Scimmie” è stato registrato dal vivo nello storico locale milanese Scimmie… Avevo rodato per più di un anno i miei pezzi da solo, chitarra e voce, in vari club della zona. Prima di imbarcarmi in un progetto più ampio con una band vera e propria volevo vedere se le canzoni avrebbero reso anche in questa versione scarna. Se una canzone è valida senza nessun tipo di trucco, volteggiando “senza rete”, allora significa che sarà valida anche arrangiata per una band. Ho pensato così di catturare questo momento in un piccolo disco dal vivo (6 canzoni, 7 sulla chiavetta usb) registrandolo in uno dei locali più importanti della mia città di origine. E’ stato registrato il 19 luglio 2013, e qualche video relativo a quella serata è disponibile anche su YouTube (oltre che sulla chiavetta usb).

Come è nato il progetto e quali sono le tue origini?

-Il progetto è nato come esigenza personale. Sono circa vent’anni che suono dal vivo con diverse formazioni. La mia band principale sono stati per tanto tempo i KickStart, ma sentivo l’esigenza di portare alla luce le moltissime canzoni che ho scritto in questi anni, e che non si adattavano al suono dei KickStart.

Ci sono delle tematiche particolari che tratti nei tuoi testi o ti ispiri alla quotidianità in genere? Che peso hanno di conseguenza i testi nella tua musica?

-A me piace raccontare storie. Spesso parlo di follia. Follia buona, follia cattiva. Credo che ognuno di noi porti in sé i “semi” di ogni tipo di malattia mentale. Semplicemente c’è qualcuno che ad un certo punto della sua vita decide di trasformare in “pianta” uno di quei semi. Oggi è quel tizio là ad essere impazzito, domani potrei essere io, o potresti essere tu. Al di là di questo tema, mi piace spesso raccontare nelle canzoni storie che abbiano un finale a sorpresa. Nel testo di una canzone non c’è spazio per raccontare storie articolate, pertanto spesso mi piace partire con un incipit, far credere che le cose stiano andando in un certo modo, e poi sorprendere sul finale. Ma più di tutto mi interessa l’armonia di una canzone, per quanto mi riguarda il testo viene sempre dopo.

Quali sono gli elementi della tua musica che possono incuriosire un tuo potenziale ascoltatore e quali sono quindi le qualità principali del tuo nuovo album?

-Sinceramente non so se sono la persona adatta a rispondere a questa domanda, perché non sono abituato a fare il “piazzista di me stesso”. Sicuramente ho cercato di essere il più trasversale possibile, evitare di auto-affibbiarmi un’etichetta o un genere. Volendo analizzare col microscopio la mia musica penso che si trovino tracce di rock, alternative, pop e soul. Ho cercato di imparare la lezione dei Beatles: non darsi limiti, essere trasversali, usare tutto quello che conosci e che senti. Se vi interessa sapere che cosa mi interessa creare di più in una mia canzone, a cosa do più attenzione: l’armonia. Come la melodia della voce si incastra in un determinato giro di accordi. Una melodia da sola mi interessa relativamente. Potrebbe anche essere composta da una nota sola. Ma a seconda che la si suoni col giro di do o con una progressione inedita di accordi, l’effetto sarà diverso. Io cerco di ottenere quell’effetto: melodie orecchiabili, ma presentate armonicamente in modo che non suonino già “sentite”. Però se ho ottenuto l’effetto, mica lo so. Siete voi che me lo dovete dire.

Come nasce un tuo pezzo?

-A volte nasce sbagliando. Magari sto suonando qualcos’altro, sbaglio un accordo, e mi dico: figo questo incastro! E’ quello che dicevo prima a proposito dell’armonia: cambiando gli accordi su una melodia, l’armonia è differente, e l’effetto è completamente diverso. Ecco allora che da quelle due note suonate su un accordo un po’ “storto” spesso mi parte l’idea per un nuovo pezzo. Altre volte invece mi capita strimpellando cose a caso, seduto sul divano con la mia acustica. Non potrei vivere senza una chitarra a portata di mano. Anche lì, la scintilla capita spesso sbagliando: strimpello accordi a caso, canticchio melodie a caso, giusto per il puro piacere personale che scaturisce dal suonare. Poi quel caso mi porta a mettere insieme qualche nota con qualche accordo che mi suona più promettente di quello che stavo facendo fino a poco prima col “pilota automatico”. Ed ecco la prima scintilla per una canzone. Dopodiché proseguo a tentoni come uno che cammina nel buio: cerco di proseguire la melodia, mi viene in gola qualche nota in più che mi piace, allora provo diversi accordi su quelle tre note in più finché trovo l’incastro che mi soddisfa. E così via.

Quale è il brano di questo nuovo disco al quale ti senti particolarmente legato sia da un punto di vista tecnico che emozionale?

-Domanda molto difficile. Con questo progetto ho cercato di tirar fuori tutto me stesso, cercare di mostrarmi come sono, senza forzare l’estetica da “rocker” che avevo con i miei precedenti progetti. Tutte le canzoni di questo progetto vengono dal profondo, da un’esigenza di comunicare quello che ho dentro, senza preoccuparmi se per gli altri risulti bello o brutto. Quindi diciamo che emotivamente sono legato praticamente a tutti i pezzi. Giusto per nominarne uno, diciamo “No Lies”, composta (a parte il testo) quando avevo circa 17 anni, con una chitarra scassata, seduto per terra su un balcone davanti alle montagne. Un pezzo che mi porto dietro quindi da tanti anni. In questa canzone forse c’è un po’ tutto il senso di questo progetto: poterlo finalmente suonare dal vivo è stata una specie di liberazione.

Quali band hanno influenzato maggiormente il tuo sound?

Altra domanda assai difficile. Durante gli anni dell’adolescenza, la mia band preferita erano gli Aerosmith, con al secondo posto Iron Maiden e Led Zeppelin. Crescendo però ho ampliato i miei gusti in tutte le direzioni. Diciamo che la band che forse mi influenza di più da un po’ di tempo a questa parte sono i Beatles, non tanto (o non solo) per la musica quanto per l’approccio ad essa: spaziare, mescolare i generi restando sempre nella “forma canzone”, potenzialmente radiofonica. Ciò che hanno fatto i Beatles ha per me qualcosa di quasi soprannaturale. Alcuni degli artisti che ammiro di più sono Led Zeppelin, Chris Cornell, Jeff Buckley, Stevie Wonder, Area, Andrew Lloyd Webber… Una band che pochi conoscono ma che è nel mio personale Olimpo sono i Free, la prima band di Paul Rodgers. Se non li conoscete dovete assolutamente dare loro un ascolto.

Quali sono le tue mosse future? Puoi anticiparci qualcosa? Come pensi di promuovere il tuo ultimo album, ci sarà un tour con delle date live?  

-Per ora ho intenzione di suonare un po’ dal vivo e portare in giro il disco. Ci sono alcune date già fissate ma ce ne sono diverse altre ancora in fase di definizione. Man mano che arriveranno potrete trovarle tutte su www.joesal.eu . Posso anticiparvi che in buona parte delle prossime date del mio progetto solista non suonerò più da solo ma accompagnato da un bassista, con cui nei prossimi giorni comincerò a lavorare sul repertorio e gli arrangiamenti. Tra qualche giorno ne saprete di più.

Come giudichi la scena musicale italiana e quali problematiche riscontri come musicista?

-Non saprei, sinceramente. Che la musica sia in un momento di forte crisi è davanti agli occhi di tutti, sia dal punto di vista di popolarità, sia da quello dei contenuti, e non solo in Italia. Da un altro punto di vista, vedo anche del fermento, sento in giro tante band interessanti che con qualche “aggiustata” sarebbero veramente notevoli. Ai miei “colleghi” musicisti direi di cercare di fare qualcosa di nuovo, di non auto-incasellarsi cercando di soddisfare con ammiccamenti un certo tipo di pubblico sperando di poter sfondare e diventare mainstream, perché secondo me oggi non ha più senso. Meglio cercare di dare il massimo di se stessi, non accontentarsi di ciò che si sa già fare, prendersi anche qualche rischio. Ma so di essere piuttosto esigente. Però conosco diversi musicisti davvero eccezionali, con enormi potenzialità, ma che forse sono troppo pigri per cercare strade nuove. Direi loro: componete canzoni che vi sconvolgono, e che quando qualcuno vi chiederà che cosa sono, voi risponderete “non ne ho idea”. Non credo che i Led Zeppelin, i Jethro Tull, gli Area, Jeff Buckley, gli Iron Maiden avessero davvero idea di che cosa stessero facendo quando componevano le canzoni che hanno cambiato la storia della musica. Semplicemente lo facevano perché quello che già sentivano alla radio non gli bastava.

Internet ti ha danneggiato o ti ha dato una mano come musicista?

-Né l’uno né l’altro, credo. Parlando di massimi sistemi, è innegabile che il download abbia determinato un crollo verticale dell’industria discografica, e che la risposta di quella stessa industria sia stata inadeguata, cercando il successo immediato con cantanti mercenari, puri esecutori usa-e-getta, invece di puntare su band solide che come novelli Noè avrebbero traghettato l’arca della discografia attraverso il diluvio, in attesa di acque sicure. Detto questo, la situazione è questa e non ci possiamo fare niente. Internet è comunque un’opportunità che – se lo si sa usare – va sfruttata, per arrivare a persone che un tempo, a meno che non si disponesse di un grosso management, non si poteva raggiungere. A questo proposito per il “Release Party” del cd che ho recentemente organizzato alle Scimmie, è stata d’aiuto la promozione passata attraverso la mia pagina Facebook (a proposito, eccola: www.facebook.com/joesalmusic ).

C’è un musicista con il quale vorresti collaborare un giorno?

-Ultimamente sto collaborando con tanti musicisti di spessore. Sono entrato in pianta stabile nella Alex Carpani Band, un gruppo prog di Bologna. Con questo bel progetto ho da poco chiuso un tour che ci ha portato in tutta Europa e in Brasile, grazie anche al fatto che insieme a noi spesso suona David Jackson, sassofonista dei Van Der Graaf Generator. Altre collaborazioni – sempre all’interno della ACB – stanno per arrivare: David Cross, Aldo Tagliapietra, Bernardo Lanzetti… Sinceramente, non saprei con quale musicista vorrei collaborare. Quelli con cui di più mi piacerebbe, li vedo irraggiungibili, o perché sono morti, o perché sono troppo famosi. Ecco, un sogno che mi porto dietro è quello di potermi un giorno sedere all’ombra del genio di Andrew Lloyd Webber e di Tim Rice. “Jesus Christ Superstar” è una delle cose più grandiose mai esistite in forma sonora.

Siamo arrivati alla conclusione. Ti va di lasciare un messaggio ai nostri lettori?

-Grazie a quei lettori di Giornale Metal che hanno resistito a leggere fino a qui. Anche se siete abituati a fruire un certo tipo di musica spero che il mio progetto vi possa interessare. Io stesso sono stato (e sono tuttora) un amante del metal, e anche quando suonavo solo questo genere non smettevo mai di ampliare i miei orizzonti ascoltando da Stevie Wonder agli Area, da Ella Fitzgerald a Beethoven. Vi rimando di nuovo al mio sito www.joesal.eu dove potrete trovare i link per i video, le date, eccetera. Se siete interessati ad acquistare il mio cd o la chiavetta usb potete farlo sul mio eshop a http://joesal.bigcartel.com/ . Ciao e grazie!

Maurizio Mazzarella