ZERO DOWN - Larger Than Death

Minotauro
Secondo album per questi old school metaheads di Seattle; una città che al metal ha dato tantissimo, un nome su tutti i Queensryche, ma nota soprattutto ai più per essere la patria del grunge. Difatti i musicisti che formano la band, gravitano tutti attorno a quella scena, che negli anni 90, vedeva con orrore che accostassero il nascente movimento grunge all’heavy metal considerato al tempo come un dinosauro morente, a torto. Questa ne è la prova, perché il metal è vivo e vegeto e certe sonorità, non potranno essere cancellate con un colpo di spugna perché scolpite nella pietra più dura. L’opener “High priestess” ha un riffing che più metal non si può, up tempo che profuma di N.W.O.B.H.M. e U.S. Metal fusi assieme; il singer ha una carica giusta, voce alta e aggressiva, quasi riottosa e figlia dell’hardcore più che del metal. Una miscela esplosiva, anche se old school, ma sempre funzionante; la sezione ritmica procede compatta e i riffing sono della scuola metal di stampo americano. “Lightening rot” è veloce, e con un sapore thrash metal, ma sporcato nell’U.S. Metal, i cori fanno bene la loro parte, brano diretto e senza fronzoli che bada a pestare. Ci sono anche rallentamenti fluidi per dare dinamismo al brano;sentitevi il solo e vi porterà direttamente negli eighties. “Racoon city” è un brano oscuro, con un riffing pesantissimo; up tempo molto piacevole, con un tiro e dei riff che entrano in testa. Buonissima la prova vocale azzeccata, anche qui i cori fanno parte integrante del brano, e buonissima prova in sede solista per le due chitarre. “Curandera” è un brano anthemico, potente e con un riffing roccioso e pesantissimo; c’è un sentore di metal americano, con atmosfere epicheggianti nell’inciso. Un brano che sicuramente dal vivo farà la felicità di tanti, perché ti si mette in testa e non ne esce più. “Horns” è un mid tempo figlio del metal più arcigno e potente e priestiano; qui il tiro è assassino, quasi thrash nel suono delle chitarre e molto buona la prova vocale, aggressiva e rabbiosa. L’inciso è riottoso coi cori da battaglia, e un suono di chitarre potente e diretto, solos colanti acciaio fuso. Un disco da avere, perché qui c’è fame di puro heavy, ma non è una scopiazzatura, qui c’è sana voglia di graffiare e tornare a cavalcare un destriero imbizzarrito verso un deserto color ruggine o una moto cromata lungo una strada polverosa. 

Voto: 8/10  

Matteo ”Thrasher80”Mapelli