SPACE ELEVATOR - II

SPV
Gli Space Elevator sono una band particolarmente interessante dei tempi attuali. E già abbastanza nota al pubblico internazionale. Fosse anche solo per la cantante, nota come The Duchess, che con la sua passione per il look "panteroso" (zatteroni a tacco alto e calzamaglie integrali) è capace di far ribollire i feromoni del pubblico maschile in modo incontrollabile. Chiariamolo: una front-woman particolarmente avvenente e con un look spiccatamente "glamour-sexy" rappresenta oggettivamente un forte "richiamo" verso certe bands, su questo non ci piove mai. E gli Space Elevator di sicuro non saranno tanto ipocriti da ammettere il contrario. Ma in questo caso vi assicuro che c'é dell'altro. Innanzitutto perché le doti vocali ed espressive di The Duchess sono indubbiamente di alto livello. La nostra amica ha una voce bellissima, versatile e piena di feeling (e i feromoni maschili salgono ulteriormente quando lei sussurra versi in francese all'inizio di "Crazies (Take Me Home)"), e capace di muoversi con la disinvoltura di una pantera (eddaje!) tra le melodie vocali, in composizioni dove la parte del leone la fa senz'altro il biondo chitarrista e co-fondatore del gruppo David Young, il quale con quel look pare quasi uscito del film "Spinal Tap". Mi rendo conto che sto concedendo in sede di recensione un po' troppo spazio alla descrizione della cosiddetta "immagine" della band (ben illustrata nelle foto promozionali), piena di "glamour" ed estremamente ricercata. Ma a scanso di ipocrisie, non credo sia qualcosa di negativo in realtà. Ci sono momenti in cui la cosiddetta immagine (anzi l'immaginario) di un progetto musicale entra prepotentemente nell'elemento musicale. E credo sia questo il caso. E' difficile da spiegare bene, ma i nostri sono davvero "spaziali" come il loro nome suggerisce. E tra l'altro, per le foto di copertina di questo loro secondo album (così come anche per l'omonimo esordio del 2014), collaborano con la ditta canadese Thoth Technology, creatrice del primo vero e proprio "ascensore verso lo spazio", il quale ha portato i quattro musicisti a farsi fotografare distanti ben 20 chilometri dal suolo terrestre (!), creando così il front cover di "II". Le sonorità proposte dai nostri, comunque, sono in bilico tra un bel Rock robusto con venature Hard (particolarmente ben riuscite sono "Take The Pain", "World Of Possibilities" e "Keep Waiting") con una particolare cura per la melodia e, non di meno, numerose sferzate verso il Pop adulto e di classe, come nella pacata ed orchestrale "The One That Got Away", nella splendida "We Can Fly - ARO mix" (primo singolo tratto dall'album) e nelle ballads "All This Time" e "Queen For A Day". Un progetto amante della "grandiosità", insomma, che abbraccia assieme in un certo qual modo musica e spettacolo visuale, ma sempre ottimamente curato dal punto di vista musicale. Una cinquantina di minuti abbondanti di Hard Rock/Pop con un songwriting davvero scintillante e versatile ed una produzione "major". Folli, geniali e melodici, sono gli Space Elevator. Prendere o lasciare. 

Voto: 9/10 

Alessio Secondini Morelli