ARGUS - From Fields of Fire

Cruz Del Sur
Gli statunitensi Argus sono tornati dopo due anni per dare alla luce, un disco di puro e infuocato heavy metal. Qualcuno potrebbe storcere la bocca, perché a suo dire non c’è nulla di nuovo; ma quando hai a che fare con un disco pieno di anima, pathos ed epicità vera, non artefatta per seguire le mode; ti apre le porte del cuore senza che tu te ne renda conto come fanno loro. L’intro “Into the fields of fire” ci apre le porte dell’opera; un’introduzione sorretta da rumori di fondo che ad un tratto portano ad arpeggi di chitarra epici che ci proiettano verso l’opener “Devils of your time” un brano ad alto tasso di metallo, una cavalcata, dai riffing che ripetono le trame acustiche dell’introduzione; la band è compatta; la produzione non è artefatta, ma anzi, da calore alla musica e il singer Butch Balich, non è il classico screamer, ma invece ha un timbro squillante e pieno, riesce a cogliere bene il pathos del brano; cori epici danno ancora più enfasi; i solos delle asce di Jason Mucio e Dave Watson sono ottimi. “As a thousand thieves” è un brano heavy, tonante, possente e ricco di pathos drammatico; la batteria offre un drumming vario che va anche nelle cavalcaste e il singer offre una prova maiuscola; “216” è doom, un brano ricco di drammaticità epica, chitarre armonizzate ti trasportano sul campo di battaglia.

La band sembra un solo uomo; il chorus è quanto di più epico non potrebbe essere, certe atmosfere battagliere e fiere sapevano metterle in campo i Manowar dei tempi migliori prima del decadimento; grande prova delle chitarre in armonizzazione. “You are the curse” è una cavalcata che solo il metal poteva generare, sapiente uso delle melodie, chitarre potenti, cuore e pathos; anche stavolta grande lavoro negli assoli. “Infinite lives, infinite doors” è una perla, undici minuti di heavy metal, epico, batteria doom, quasi un profumo alla Manilla road per la virilità battagliera che traspare, cori epicheggianti, grande prova vocale; rallentamento nella parte centrale con armonizzazioni ad alto respiro e cori maestosi; se non è grande heavy metal questo, io non che cosa lo sia. “Hour of longing”, brano che parte lentamente; ma poi diventa un up tempo battagliero, il singer da l’anima; grandissima prova vocale, stentorea e piena di drammaticità; e chitarre acustiche nel mezzo per dare ancora più ampio respiro ad un brano eccelso, sulle cui trame prende i volo l’assolo di chitarra. “No right to grieve” è un brano lento, con tantissimo pathos, un lento doom drammatico nell’enfasi del canto guerriero, chitarre potenti, un muro che da ancora più enfasi ad un brano ricco di emozione; anche qui grande lavoro delle chitarre sia in fase ritmica che nei solos; prima dell’outro ”From the fields of fire”. Ribadisco, qui non troverete nulla di nuovo, ma di vero, sentito con anima e cuore assolutamente; per gli amanti dell’heavy metal epico, drammatico e con punte drammatiche questo è un gioiello; grande! 

Voto: 9/10  

Matteo ”Thrasher80” Mapelli