LONELY ROBOT - The Big Dream

Inside Out
Lonely Robot significa John Mitchell e questo è un progetto che prende vita dalle idee dell'artista polistrumentista inglese e da una formazione che lo vede affiancato da Craig Blundell alla batteria, giunge alla pubblicazione del suo nuovo lavoro, "The Big Dream". Il secondo capitolo della fantascientifica trilogia intrapresa con "Please Come Home", prosegue il suo viaggio incentrato sulla storia di un astronauta, stavolta catapultato all'interno di uno scenario popolato dalle strane creature che figurano nell'artwork. L'iniziale Deep Sleep", sintetica e narrata, sfocia nella discreta "Awakenings", a cavallo tra gli ultimi Frost* e i Genesis di Ray Wilson. "Sigma" parte dal riff di "Stratus" di Jeff Beck (o di "Safe From Harm" dei Massive Attack se preferite) per evolvere rapidamente in un brano più solare e progressivo (soprattutto nella parte strumentale). La ballad pianistica "In Floral Green" è il primo di una serie di tributi all'opera di Peter Gabriel, mentre "Everglow" non può non ricordare i brani più tirati degli Arena. "False Lights" si distingue per l'intermezzo denso e carico (Blundell, che vorrebbe emulare Harrison e Minnemann, mi sembra spesso invadente, ma probabilmente è una mia impressione) e prelude alla più anonima "Symbolic", salvata giusto dall'ottimo solo di Mitchell.

Nella squisita "The Divine Art Of Being" si sente ancora l'influenza del primo frontman dei Genesis, ma è la titletrack la vera sorpresa di quest'opera: otto minuti epici e sinistri, con armonie che si rifanno tanto a Steve Hackett quanto ai King Crimson di"Starless & Bible Black" e "Red" (sarà l'abuso del modo lidio), con un pizzico di "Dune" (ascoltare per credere). Da"Hello World Goodbye" emerge il groove di "Mama", prima della bella apertura centrale che ci porta alla conclusiva e inaspettata "Sea Beams", epilogo dal carattere sinfonico e cinematografico.Nulla si aggiunge e nulla si toglie, e questo è un ottimo aspetto, poiché la garanzia di qualità non scade neppure con questo nuovo Lonely Robot. Chi non conoscesse Mitchell, potrà ricollegarlo piuttosto facilmente ai suoi innumerevoli quanto estemporanei progetti, e non solo per la caratteristica voce del mastermind. Per tutti gli altri, è sufficiente consigliare un ascolto delle band citate nel corso di queste righe. ribadendo che non ci troviamo davanti a musica dura ma a un prog atipico nella sua strabordante melodicità e nella sua immediatezza d'ascolto. Ma non per questo meno affascinante o qualitativo. 

Voto: 7,5/10 

Bob Preda