ENZO AND THE GLORY ENSEMBLE - Intervista all'Artista


Sei appena uscito sul mercato discografico con un nuovo album in studio, puoi presentarlo ai nostri lettori?

Il moniker “Enzo and the Glory ensemble” presenta “In the Name of The Father”, un concept prog sinfonico dalla ricercata cura di arrangiamenti orchestrali, sonorità folk siropalestinesi e delle espressività vocali e corali. L’Ensemble unisce me a ben sette artisti storici del panorama Metal internazionale: Marty Friedman, Kobi Farhi (Orphaned Land), Ralf Scheepers (Gammaray, Primal Fear), Mark Zonder (Fates Warning), Gary Wehrkamp & Brian Ashland (Shadow Gallery) e Nicholas Leptos (Warlord). Il concept trasforma in canzoni undici preghiere cristiane e salmi biblici in lingua inglese; un unico testo originale, dedicato alla pace, conclude l’album, pubblicato dall’etichetta italiana Underground Symphony.

Come si è districata la tua formazione da musicista?

Una crescita un po’ contorta: essendo cresciuto tra tre diverse famiglie, dotate di differenti forme di amore per la musica, mi sono nutrito sin da piccolo praticamente di tutto. Dai nove ai dodici anni già conoscevo e amavo i grandi del Soul & Rhythm’n’blues, i padri del Rock, i grandi interpreti della canzone internazionale e i fondatori del progressive e della psichedelia. Dai dodici ai sedici il Metal è stato padrone indiscusso delle mie orecchie, dopodichè mi sono immerso nella musica classica, nel folklore di tutte le terre, nella colonna sonora, nel sinfonismo broadwayano e nel Jazz. Ogni ascolto che mi piaceva veniva da me tradotto sul pianoforte e sulla chitarra, strumento con cui ho conseguito il diploma. Amare troppa musica non è stato semplice, perché mi ha reso difficile capire chi sono veramente. Infatti ho dovuto fare molte potature nel mio modo di comporre, cercando di avvicinarmi a ciò che di me fosse più autentico, meno bugiardo.

Come hai scelto il titolo del disco?

Una buona domanda! Il disco musica 50 minuti di preghiera cristiana, così ho pensato semplicemente di dargli per nome le parole con cui molti cristiani cominciano a pregare; parole che, tra l’altro, aprono l’album. Sembra una scelta troppo ovvia, ma in realtà non lo è per niente, perché dichiarare di creare un album metal “Nel Nome del Padre” significa stampare il timbro di Dio in Persona su un cd metal… Possibile mai questa sciocchezza? Ebbene sì! Molti, credenti inclusi, hanno un’idea oppressiva del fare fede cristiana, la quale invece ha come base “Amore” e Amore è apertura e anche un po’ follia. Come non vedere un po’ di follia in Uno che per amor tuo si lascia dissanguare e appendere a un pezzo di legno, malgrado tu non abbia ancora capito quanto ti ami? Cose stravolgenti, cose fuori schema deve fare l’Amore, altrimenti non rinnova il mondo, altrimenti non è Amore! Ebbene, oggi un autore italiano ha la follia di timbrare un disco metal con il Nome di Dio e se qualcuno dovesse offendersi… s’offenda!! (ride)

A cosa ti ispiri quando componi?

Principalmente mi ispiro all’idea che i miei sentimenti siano un paesaggio da fotografare, non da dipingere. Mi spiego meglio: quando ho un’ispirazione non la vivo da autore, piuttosto voglio scoprire quell’idea come desidera continuare. Ecco che comincio a pensarla e vado avanti solo quando l’idea stessa mi dice come svilupparla. La mia musa ispiratrice di sempre è l’immagine di qualcosa che possa sciogliere quel muro di ghiaccio che abbiamo un po’ tutti e far venire a galla quella catena di emozioni un po’ archiviate nel bagagliaio della nostra persona.

Quali sono gli elementi della tua musica che possono incuriosire un tuo potenziale ascoltatore e quali sono quindi le qualità principali del tuo nuovo album?

Credo che la prima caratteristica che emerge dal mio fare musicale sia una forte presenza emotiva: c’è sempre un voler trascinare in emozioni forti, un drammatizzare che vuol suscitare immagini profonde. La seconda caratteristica è senz’altro l’orchestra e il coro: certo non mi ritengo un mostro sacro della musica, ma le indigestioni degli ascolti di Mahler, Bach, Ravel, Satie, Mozart mi hanno inevitabilmente de-formato, per cui fare metal con contrappunto orchestrale e trombe da teatro fa parte del mio linguaggio. La terza caratteristica è la citazione di sonorità folk semitiche e da colonna sonora. Quarta caratteristica: ho sempre ritenuto che, per quanto sofisticato e architettato possa essere un brano, alla fin fine debba emergere la “canzone”, per cui strofa e ritornello sono netti e ho sempre la convinzione che il ritornello dia senso a tutto il brano. Sono alla continua ricerca del ritornello avvincente… che ci riesca o meno, questo è un altro discorso di competenza della critica. 

Come nasce un tuo pezzo?

Questa è davvero un’ottima domanda! Non è possibile teorizzare un metodo assoluto per comporre, ma qualcosa di usuale in me avviene: un pezzo non mi nasce quando lo cerco. Mai ottengo bei risultati quando dico: “Oggi decido di scrivere un brano così!”, perché la mia creatività si impaccia e non produce una mazza. Un pezzo mi nasce mentre sto facendo altro. La mente comincia a viaggiare da sé e, all'improvviso, balza fuori l’idea che mi attrae. Corro a scriverla su pentagramma, dopodichè la suono e la penso continuamente, fino ad avere la sensazione che il brano continui da solo e allora è il momento di lasciar fare a lui stesso. Il mio fattore di competenza musicale interviene durante l’arrangiamento. In quel momento uso ciò che so fare per commentare con le note, con il suono, le sensazioni che la canzone mi da.

Quale è il brano di questo nuovo disco al quale ti senti particolarmente legato sia da un punto di vista tecnico che emozionale?

Beh certamente il brano a cui sono più legato è “Hail Holy Queen”, il “Salve Regina”. Ero un po’ triste quel giorno in cui mi balzò in mente quella melodia così triste, intensa, fluida… Voleva essere un brano per voce e orchestra e così fu. Decisi di coinvolgere Marty Friedman per un assolo finale lungo e struggente in cui le sei corde distorte, sovrapposte ad archi, ottoni e timpani, riproducessero la “valle di lacrime” in cui l’uomo perduto chiede soccorso a Maria Madre di Cristo. Il risultato è un brano che ad ogni ascolto mi riempie sempre di emozioni ed è per me un onore aver dedicato Marty Friedman a Maria.

Quali artisti hanno influenzato maggiormente il tuo sound?

Gli artisti che mi hanno formato come rocker sono praticamente gli artisti che hanno partecipato a quest’album: Marty Friedman, Fates Warning, Shadow Gallery, ecc. Certamente gli ascolti di grandi interpreti storici (Rod Stewart fra i tanti) e di tanti autori di colonne sonore come Trevor Jones, James Horner (R.I.P.), Pino Donaggio e altri, mi hanno donato strumenti in più. Alice Cooper è stato tra quelli che mi hanno coinvolto in quelle atmosfere musicalteatrali in cui una voce Rock graffiante possa recitare, declamare parole in modo esplicito.

Quali sono le tue mosse future? Puoi anticiparci qualcosa? 

Questo album rappresenta un mio lancio nel buio. So di aver fatto qualcosa di insolito, non diretto a una precisa fetta di mercato, per cui non ho la minima idea di cosa ne sarà. Posso anticipare in anteprima assoluta la mia idea di fare di quest’album il primo di una trilogia… spero con la stessa formazione.

Come pensi di promuovere il tuo ultimo album, ci sarà un tour con delle date live?  

E’ intenzione mia e delle guests unirci in alcune date significative, che tenteremo di organizzare con l’aiuto di supporti di cui ci stiamo avvalendo, ma siamo in fase di pianificazione e finora non abbiamo ancora date ufficiali.

Come giudichi la scena musicale italiana e quali problematiche riscontri come artista?

E’ bello parlare con un giornalista sensibile alle problematiche dell’attuale musica italiana. La nostra scena musicale di massa, a mio avviso, si lascia guidare acriticamente dal televisore e da quella decina di radio che ripercuotono quei pochi nomi che qualcuno ha deciso che debbano andare avanti. Il resto è quasi silenzio. Non sono contro il pop massificato, ma è ovvio che oggi l’Italia chiude la musica in una gabbia in cui poter entrare solo a compromessi. Fortuna vuole che molti giovani si colleghino ad Internet desiderosi di qualcosa di diverso ed è cosa buona e giusta. La principale problematica che riscontro come artista è l’essere legato alla Cristianità! Il metal nasce come obiezione al pregiudizio, alla categorizzazione sociale ed ha il coraggio di musicare gli aspetti più ruvidi e scomodi della personalità artistica; una cura dell’animalità umana più autentica che ammiro molto. E’ desolante per me incontrare anche in questo genere pregiudizio e categorizzazione. Potremmo zittire i bigotti con un grande esempio di apertura, ma non lo facciamo, sputando a priori su ogni prodotto che sappia di cristiano e, così, dimostrandoci chiusi come loro. Molte label mi hanno rifiutato per il “problema cristiano” dell’album. Qualche grande nome mi assicurò un gran lancio dell’album a patto che cambiassi i testi. Sono già preparato all’idea che molti non accetteranno quest’album poiché cristiano… ma di certo non ho intenzione di essere l’ennesimo ipocrita e se metal equivale a cruda descrizione si sé, crudamente continuerò a suonare ciò in cui credo!

Internet ti ha danneggiato o ti ha dato una mano come musicista?

Internet mi ha dato esattamente la possibilità di realizzare ciò che ho realizzato e, malgrado il web abbia creato quel gran calo di vendite di cui oggi l’artista soffre, resta sempre quella grande vetrina in cui scoprire novità e avvicinare contatti.

Il genere che suoni quanto valorizza il tuo talento di musicista?

Come detto prima non mi ritengo un mostro sacro della musica, ma so di avere in dote delle capacità.
La realizzazione di questo album fu dovuta alla mia forte esigenza di confezionare in un cd quanto di più autentico e eterogeneo sappia dare, musicalmente e concettualmente, per la prima volta senza nessun compromesso. Per cui la mia risposta è che non so se il genere suonato in “In the Name of The Father” valorizzi le mie potenzialità, ma di certo esprime tutto ciò che so dire oggi. 

C’è un musicista con il quale vorresti collaborare un giorno?

Nel disco ho già lavorato con i musicisti che ho sempre amato. Certo, Alice Cooper sarebbe per me davvero il top. Tuttavia ti dirò… mi imbatto spesso in musicisti anonimi di un livello cui io non sono neanche la metà e quando mi capita di suonare con loro per me è già una grande soddisfazione, oltre che un notevole arricchimento.

Siamo arrivati alla conclusione. Ti va di lasciare un messaggio ai nostri lettori?

Certo! Non sono granché come opinionista, ma il messaggio che lascio al lettore è un invito a sciogliersi dai legacci con cui la società ci imbavaglia con la tecnica della “paura della solitudine”, costringendoci a un carattere, idee e gusti falsi. Non è facile, ma riuscirci sarebbe di certo molto interessante e qualcun altro se ne accorgerebbe. Magari potremmo diventare in tanti…

Maurizio Mazzarella