16 - Deep Cuts from Dark Clouds


Relapse Records

Sono tra i più bravi nello Sludge e chi scrive li adora. I 16 non sono mai stati pacchiani e hanno sempre profuso un certo impegno nella propria musica, costruendo album con canzoni che venivano assortite spesso da diverse influenze (come per esempio l'hardcore). L'ottimo "Bridges to Burn". il precedente album del 2009, aveva presentato un sound denso, carico di groove (ma non è che manchi in questo)e con la sezione ritmica (non solo la batteria, ma anche il basso) in gran forma. Tuttavia ora "Deep Cuts from Dark Clouds", si propone con minore dinamismo rispetto al suo predecessore. E' un album che da mazzate violente, un album che appare come un mostro monolitico e nell'insieme la cosa va anche bene, del resto nello sludge situazioni del genere sono tipiche, ovvero la pesantezza, il poco dinamismo, le canzoni che battono verso un'unica direzione. Tuttavia questo nuovo lavoro ha qualcosa che non soddisfa pienamente. "Theme from Phillpopper" è l'apertura psicotica e ossessiva, grazie ad un riff cadenzato, mostruoso e che si tira dietro la batteria del picchiatore Pinkerton (entrato al posto di Corley già da tempo), ma con striature sonore inclini allo stile dei 16. Se "Parasite" sta a metà tra lo stoner e lo sludge, "Her Little Accident" ripropone un'andatura martellante in sintonia con "Opium Hook". Si distinguono, per lo meno hanno un altro passo, le dinamiche e veloci "The Sad Clown" e "Beyond Fixable" oppure "Ants in My Bloodstream",  pesante ma lisergica e vibrante, come in parte lo è anche "Broom Pusher". La struttura dei pezzi in se tende però a manifestare questa tabella di marcia: apertura, riff portante ripetuto a dismisura, bridge, passaggio neo-psichedelico (o altra variazione), ritorno del riff principale e chiusura. Non si sfugge! Rompe la monotonia l'inserimento di qualche assolo (come in "Only Photographs Remain"), ma nella sostanza lo schema è quello. Forse è questo che non porta soddisfazione; nell'insieme i 16 non inserendo scorribande in altri terreni stilistici, da loro già calcati in passato, e muovendosi con canzoni ipnotizzate dai propri riffs, sviluppano un senso di fatica per l'ascoltatore. Pochi scorci memorabili, tanta ottusa pesantezza, pallide melodie che prendono la scena con fatica, tutto questo rende meno appetibile questo nuovo lavoro dei californiani, i quali non sono deludenti con "Deep Cuts from Dark Clouds", ma in oltre venti anni di carriera qualcosa di più incisivo sarebbe legittimo aspettarselo.

Voto: 6,5/10

Alberto Vitale