GIANNI DELLA CIOPPA - Intervista all'Autore

Gianni Della Cioppa (al centro) con Steve Sylvester e Marco Refe

Passione, tenacia e competenza sono le tre peculiarità che distinguono Gianni Della Cioppa, giornalista, scrittore, divulgatore e discografico, in modo marcato rispetto a chiunque altro orbiti in ambito rock e metal come addetto ai lavori. Passione perché, nonostante quasi 30 anni di militanza, quando scrive è possibile percepire le sue emozioni rimaste immutate oggi come allora, così come sempre acceso è il fuoco che gli permette di trasmettere entusiasmo ai suoi lettori quando scova, durante i suoi ascolti, qualcosa che lo ha particolarmente colpito. Tenacia perché, tra riviste che hanno chiuso i battenti ed un mercato discografico in ginocchio principalmente, ma non solo, per la maledettissima mania del download, lui è ancora qui. Competenza perché ne sa una più del diavolo e non a caso è lui che ha curato, in veste di co-autore, la biografia di Steve Sylvester da un paio di mesi sul mercato. Quest’ultimo evento congiuntamente alla pur recente uscita di HM - Il Grande Libro Dell’Heavy Metal, di cui ne è l’autore nonché coordinatore della squadra che lo ha coadiuvato durante la stesura sono l’occasione per quest’intervista che sarà senz’altro gradita da tutti voi…   

Gianni, intanto grazie in anticipo per il tempo che ci stai dedicando!!! Partiamo dall’inizio della tua carriera giornalistica segnato dall’incontro col mitico Beppe Riva. Che ricordi hai di quei primi e pionieristici giorni per l’heavy metal in Italia?

-Grazie a voi invece per questa bella opportunità di rivangare tra ricordi, l’oggi e prospettive future. So che questa è una lunga intervista e spero che i lettori avranno voglia di leggerla tutta, perché gli argomenti che mi hai proposto di affrontare meritavano i giusti approfondimenti. I primi anni ’80 sono stati anni formativi per tutta la scena rock e metal italiana, in tutte le sue componenti (musicisti, promoter, stampa, etc), c’era un entusiasmo contagioso, perché si viveva un momento di scoperta, quindi importante, ma soprattutto irripetibile, perché unico, legato alla prima volta. Tutto ciò che da anni è saldamente noto nel business metal, allora si stava definendo ed io, con altri, ho avuto la fortuna di esserci e di viverlo in prima persona. In questo contesto si inserisce anche il mio incontro con Beppe Riva, che per molti di noi era (ed è ancora) un mito, i suoi articoli e recensioni avevano segnato tutti noi appassionati di rock. Dalle pagine di Rockerilla prima e Metal Shock poi, sciorinava cultura letteraria e musicale. Solitamente ci incontravamo a Milano ai concerti (ma l’avevo conosciuto anni prima a Verona ad un concerto dei Death SS, organizzato da me) ed un giorno (era la fine del 1988), mi propose di scrivere per Metal Shock, dicendo che gli sembrava di cogliere in me, oltre che naturale passione, anche una certa conoscenza. Ricordo l’attesa per il suo parere quando gli mandai, per lettera, le mie prime recensioni. Al suo benestare ho rischiato di svenire. È stato l’inizio di un’avventura che da 22 anni non si è mai fermata ed ho tutta l’intenzione di andare avanti ancora per molto. Insomma dovrete sopportarmi ancora a lungo.

Prima ancora eri un ragazzo che amava il calcio e cantava in una band, gli Exile, parallelamente al tuo diploma come perito chimico. Era dura con i tuoi genitori o sei riuscito a trovare il modo di convincerli a ’lasciarti fare’?

-Guarda io non ho mai avuto problemi, a scuola me la cavavo benino, giocavo a calcio, suonavo in una band, erano tutte cose positive, belle, i miei genitori le vedevano come situazioni costruttive. Devi pensare che in quel periodo, fine ‘70/primi ’80, c’era la droga che faceva strage, molti giovani morivano, ma nel mio giro di amicizie non c’erano di questi problemi, al massimo si litigava perché uno interista e l’altro milanista o per qualche ragazzina. Quindi la musica, dai nostri genitori, era vista come un’ancora di salvezza. Mio papà era un uomo di poche parole, ma i suoi silenzi dicevano molto, non mi ha mai ostacolato, a modo suo mi dimostrava che era felice di vedermi felice. Mia mamma è ancora oggi una donna piena di energia e dolcezza, credo di assomigliarle molto, o almeno lo spero, perché per me è un punto di riferimento. E poi appena finito il militare, nel 1984, ho iniziato a lavorare. In fondo non ho mai dato grossi problemi ai miei genitori, ero iperattivo, questo sì, ma allora si diceva “è un ragazzo molto vivace”…

Inutile sottolineare che eri uno di quelli che un disco (l‘amato vinile) lo inseguivano mettendo i soldini da parte ed una volta comprato lo ascoltavano, osservavano, sniffavano (eh si!!! Col vinile era possibile!!!) e coccolavano per giorni e giorni. Descrivici con le tue parole quelle irripetibili emozioni…

-Per spiegarti quanto queste cose sono cambiate rispetto ad oggi (non dico in peggio o meglio, dico solo che sono cambiate), ti racconto un episodio: nell’estate del 1979 si era sparsa (si sparsa, altro che internet, forse letta sul mitico settimanale Ciao 2001), la notizia che i Led Zeppelin avrebbero pubblicato il nuovo disco. Per me, che adoravo gli Zeppelin, sarebbe stata la prima volta che avrei acquistato un loro disco in contemporanea con l’uscita, infatti i precedenti li avevo presi tra il 1977 e il 1978. Così quando entrai in negozio per l’ennesima volta, il commesso mi disse sorridente “Si è uscito, eccolo”, fu una sensazione straniante, mi iniziarono a tremare le ginocchia per l’emozione. Pagai il disco (6500 lire), usci fuori, aprii la busta e baciai il vinile su entrambi i lati e ricordo come fosse adesso che una coppia di innamorati rockettari mi fece un applauso. In quel momento mi sentivo il padrone del mondo. Saltai sulla mia bicicletta e pedalai come un pazzo fino a casa, ad accendere il mio stereo scassato (ma che mi sembrava il migliore del mondo). Ascoltai “In Throught the Out Door”, una decina di volte di seguito, fino a notte fonda. Questo era l’amore per la musica di quegli anni. Oggi si vive tutto molto più in fretta. Cerco di adeguarmi a questi ritmi, ma alcune volte mi ribello e torno il ragazzino di allora, anche se certe sensazioni non tornano più, perché la purezza che avevi un tempo come ascoltatore oggi è improponibile dopo migliaia e migliaia di ascolti.

Quali erano all’epoca i pezzi forti della tua collezione, quelli di cui ti vantavi con gli amici?

-Ma qui si apre un’altra questione, anzi duplice questione direi. Di fatto non sono mai stato un collezionista, ho sempre messo la musica davanti a tutto, non la rarità di un disco. Ed oggi continuo ad essere così, quindi non mi lascio sedurre dalla rarità o da edizioni strane, se non mi interessano i contenuti artistici. Inoltre la questione del collezionismo musicale è relativamente recente, diciamo ultimi 10/15 anni, quindi all’epoca non si facevano tanti discorsi “è raro, non è raro”, piuttosto si discuteva se piaceva o meno un gruppo. Detto questo è chiaro che con qualche singolo della NWOBHM un po’ me la tiravo simpaticamente anche all’epoca con gli amici.

Dopo il giornalismo (Metal Shock, Flash, Psycho!, Mucchio Selvaggio ed oggi Classix e Classix Metal) è arrivata la tua creatura discografica Andromeda Relix. Genesi di quest’avventura…

-Nel 1996 con l’amico Massimo Bettinazzi (Ad oggi 31 anni di rock condiviso giorno dopo giorno!!), abbiamo dato vita alla fanzine Andromeda, durata 12 numeri e che è stata l’ossatura che ha originato Classix! e di conseguenza anche Classix Metal. Tre anni dopo abbiamo pensato di mettere in piedi una piccola etichetta discografica. Una cosa molto naif, senza tante pretese, fatta per amore della musica. E così sono partite le prime produzioni e la cosa per un po’ ha funzionato, ci ha permesso persino di coprire le spese, poi la situazione è precipitata ed oggi riusciamo a fare qualche coproduzione con i gruppi, che capiscono le difficoltà. Va detto che io non ho nessun tipo di competenza di marketing e non so essere un venditore, quindi sono convinto che molti errori sono miei, detto questo è anche vero che oramai non si vende più niente. E parliamo anche di medi e grandi gruppi, che si mantengono solo con i concerti e grazie ai dischi in  catalogo e relative ristampe. Credo che il compito delle ristampe non sia di (ri)pubblicare per l’ennesima volta il disco famoso e conosciuto più o meno da tutti, ma offrire una nuova mappatura delle varie scene rock del passato e quindi dimostrare che ci sono stati gruppi minori o addirittura sconosciuti che hanno lasciato testimonianze che meritano di essere recuperate e riportate in superficie. In questa ottica ha un senso il mondo delle ristampe, anche se è necessario precisare che non tutto ciò che viene dal passato profuma di capolavoro, come molti vogliono farci credere. L’intento dovrebbe essere quello di farci ascoltare realtà minori, ma sincere e magari anche in parte originali. Ma se l’obiettivo è di offrirci qualche nota diversa del classico di turno, con una confezione bella e accattivante o rimasterizzato per la decima volta, allora è un gioco a cui non voglio partecipare. Tutte queste edizioni deluxe, masterizzate all’infinito, con packing lussuosi, forse danno ossigeno alle casse della grande industria discografica, ma di fatto hanno quasi ucciso il rock, inteso come fonte di energia e di rinnovamento. Noi dell’Andromeda Relix ci siamo impegnati a dare visibilità a gruppi del passato minori o a piccole realtà italiane contemporanee che gravitano nel panorama rock e metal classico e che mantengano uno spirito puro e passionale e con cui si crea un’empatia sincera, senza la stima reciproca non iniziamo nessun tipo di collaborazione. La nostra è una piccola goccia in un mare immenso, gestita con poco denaro e costantemente in perdita, ma dopo tredici anni siamo ancora qui.

In seguito è arrivata GDC Promotion. Ce ne illustri le attività?

-Mah… in questo caso si tratta veramente di una piccola iniziativa, a cui ho dato un nome un po’ auto celebrativo (di cui alcune mi vergogno…), solo per distinguerla dall’Andromeda Relix. Volevo che fosse chiaro, per chi riceve i CD promozionali, che non si tratta di produzioni dell’Andromeda Relix, ma di gruppi a cui fornisco un po’ della mia esperienza. Spesso sono CD autoprodotti o di piccole label che non hanno un ufficio stampa, album che mi piacciono e così offro alle band la possibilità di avere un buon numero di recensioni, sia per la loro soddisfazione, sia perché in questo modo si confrontano con la stampa, da cui sapranno attingere suggerimenti, elogi e critiche. Comunque anche qui, come in tutte le cose che faccio, alla base ci deve essere una stima professionale, ma prima ancora umana.

Note dolenti parte I: sarebbe istruttivo per chi legge che una persona della tua autorevolezza sfati tutti i luoghi comuni e dica una volta per tutte quali sono le reali difficoltà del mercato discografico. Io personalmente non credo sia solo colpa del download…

-Mi metti addosso una responsabilità non da poco… Inoltre non è detto che le mie opinioni siano la verità assoluta. Comunque in tanti anni di esperienza credo di avere accumulato almeno l’esperienza per dare una risposta personale libera da vincoli e pregiudizi. Ovviamente una questione così complicata, che implica numerosi fattori e di fatto affronta un cambiamento epocale, non ha una sola risposta, perché siamo davanti al fatto compiuto che la musica è solo una delle tante scelte che ha un giovane, mentre una volta era quasi l’unica. E poi se alle ultime due generazioni è stato fatto passare il messaggio che la musica è gratuita, non c’è una sola ragione perché poi debbano pagarla. Mi sembra normale. Tappare le falle oggi del download è impossibile, bisognava intervenire prima, ma la discografia ha pensato solo ad alzare i prezzi, mossa che l’ha uccisa definitivamente (Io ho la mia teoria, una decina d’anni fa avrebbero dovuto fare così: 10 euro le novità, 5 euro le ristampe; sono convinto che nessuno si sarebbe più scaricato un disco). Resta poi aperta l’affannosa questione della musica come cultura, per molti giovani è solo divertimento da inglobare in mp3, iPhone, e compagnia bella: in pochi ascoltano la musica, al massimo la sentono come sottofondo, come compagnia durante i viaggi, le corse, le attese. Con questa considerazione la musica non va da nessuna parte. E poi la discografia ha sbagliato ancora puntando su personaggi discutibili e passeggeri, senza far crescere nuovi talenti. Oggi agli artisti non è concessa una seconda occasione, in questo modo potenziali nuovi talenti si disperdono senza prova di appello. In questo marasma hanno la loro colpa anche i social network, i siti web e tutti noi in generale. Infatti tutti si sentono critici e continuano a dare spazio ai soliti giganti del rock, che già vediamo ed ascoltiamo ovunque e così i ventenni, che una volta battevano i pugni per difendere i propri eroi contemporanei accusando di vecchiume il resto (come era giusto, perché ogni generazione DEVE avere i suoi eroi), oggi ascoltano la stessa musica dei loro padri e questo è deleterio, perché non si crea una nuova ondata (Preciso che la musica dei padri la si deve scoprire ed amare se di qualità, ma dopo quella della tua generazione, prima è necessaria la fase di ribellione). Io non ho la pretesa che il rock si rinnovi, oramai è uno standard, ma che almeno proponga facce nuove questo si. Sono stanco di vedere solo facce decrepite in giro, li ho amati, idolatrati, ma basta, adesso tocca ad altri. Per esempio della reunion fatta davanti a cento avvocati dei Black Sabbath non mi interessa NIENTE, giusto per farti capire. Indipendentemente che se li vedessi dal vivo potrei anche divertirmi o che il loro nuovo disco possa essere bello. Adesso tocca ad altri. Ma purtroppo il pubblico è pigro, i vecchi ascoltatori vogliono solo certezze e puntano suoi loro idoli storici, i giovani sembrano attratti dalle stesse cose e così montagne di buona musica nuova (non innovativa, ma nuova…), muore tra l’indifferenza generale. Chiudo dicendo che non accetto assolutamente quando si dice che oggi non c’è niente di bello, che una volta era meglio e bla bla bla. Sono luoghi comuni ridicoli, persino Mozart e Beethoven hanno dovuto sfidare queste baggianate, tanto per dire che sono discorsi che si fanno da secoli. Allora secondo questa teoria, non dovrebbero più uscire dischi, libri, film, teatro… niente, tutto è stato già fatto e meglio: ma per carità, cerchiamo di non coprirci di ridicolo. Ci sarà sempre spazio per il buon rock e la buona arte in generale. La buona musica c’è, basta saperla trovare e in questa gigantesca marmellata che è la scena rock del nuovo millennio è questa la vera sfida: scoprire i talenti che, lo vedo ed ascolto ogni giorno, non mancano. Ma la cosa clamorosa è che debba essere io a prendere questa posizione di difesa per il “nuovo” rock, io che con articoli, libri, enciclopedia, storie ho sempre raccontato con passione la storia del rock e dell’heavy metal, ma credo che sia il momento di educare gli ascoltatori alle novità, altrimenti si interrompe la catena evolutiva e tutto diventa solo nostalgia. Non è una cosa da sottovalutare, è in atto un’autentica rivoluzione, analizzata da critici e sociologi, che coinvolge tutte le parti della società, chiamata banalmente, ma chiaramente “retro-mania”, una sorta di ossessione verso la cultura recente del passato (diciamo anni 60/70/80/90), spinta dalla diffusione di internet, dove tutti incensano il passato, senza dare uno straccio di possibilità al futuro e questo è fortemente deleterio, si infonde nelle nuove generazione il dubbio, direi quasi certezza, che per loro non ci siano possibilità. E, attenzione, la mia analisi non si ferma alla musica, ma è ben più ampia. Quindi, prendiamo atto che il rock non sarà più rivoluzionario come un tempo, ma certamente sarà in grado di offrirci musica derivativa, ma buona. Anche se io sono convinto che le cose nuove, anche in parte innovative non mancano. In giro c’è tanta pigrizia e ripeto, internet è un’arma a doppio taglio, dovrebbe aprire molti orizzonti ed invece sta diventando uno strumento per incensare sempre le solite venti band storiche. Ognuno è libero di fare ciò che vuole, ma io – per esempio – non spenderò mai 120 euro per un cofanetto dei Pink Floyd che mi offre in dieci modi diversi “The Dark Side Of The Moon”, per me il disco è quello storico e basta. Da questo punto di vista raramente mi faccio incantare da ristampe ampliate e cose simili, salvo quando il prezzo è altamente ragionevole, cioè poco più di un album normale. E questo è l’altro volto della decadenza, di cui sono responsabili le case discografiche che hanno puntato solo su nomi storici (con ristampe, ed offrendo cifre folli per reunion e tour telecomandati dal denaro), vendendo e rivendendo il catalogo, senza investire su giovani talenti che, lo ripeterò fino all’ossessione, ci sono. Scusa la lungaggine, ma è importante essere chiari fino in fondo.  Inoltre c’è il problema, perché per me è un problema, delle cover e tribute band, Gruppi che quasi sempre omaggiano i soliti gruppi famosi e che quindi riproducono musica già ascoltata ovunque (a casa, radio e televisioni) e quindi si continua a girare intorno ai soliti nomi. Riconosco che alcune tribute band rendono un servizio notevole, riproducendo scenografie e repertori fedeli all’originale e che ti proiettano indietro nel tempo in un momento ben specifico. È un gioco affascinante, ma che mi stufa presto. Se tutti avessero fatto così ai tempi dei Beatles, non sarebbero mai esistiti i Deep Purple, i Led Zeppelin e così via, fino ai giorni nostri. Ripeto, mi rendo conto che può sembrare strano che sia io a dire queste cose, visto che scrivo articoli e libri sulla storia del rock, ma credo che si debba scindere la storia dall’attualità. La storia va raccontata, magari con competenza e qualità, l’attualità va vissuta. Credo che oggi le due cose si sovrappongano e questo è un tappo che impedisce la crescita del panorama rock. È evidente che non ci saranno mai più le vendite di un tempo, oggi tutto è stato ridimensionato, le carriere delle band sono molto più brevi e non esiste più la rockstar, ma questo accade perché la musica rock non ha più ambizioni di cambiare il mondo o di lanciare messaggi generazionali, ha perso il suo potere trascendentale e quasi mistico. Ne prendiamo atto, ma almeno che resti la buona musica, quella non possono portarcela via. E comunque a me va bene così, è stupendo andare ad un concerto con la band a pochi metri, e alla fine conoscere i musicisti. In questo modo si è rotta la barriera del divismo, fan e gruppo sono quasi la stessa cosa. E questo per me è molto rock.

Note dolenti parte II: carta stampata, riviste, edicole!!! Perché non si riesce a far capire ai più giovani che l’informazione in tempo reale del web può essere preziosa, ma un bellissimo articolo su una rivista ha un valore incommensurabile.

-Credo che sia sempre una questione di educazione ed influenza della società. Da una decina di anni, il nostro stile di vita è diventata veloce in tutto e l’informazione non è mancata a questo appuntamento. La crisi che avvolge la stampa musicale ha coinvolto tutte le fonti dell’informazione cartacea, infatti sono a rischio chiusura quotidiani, periodici e case editrici di ogni tipo. Si tratta fondamentalmente di un fatto educativo e culturale. Se un giovane è cresciuto con l’informazione sempre in tasca, tramite cellulari, tablet e cose simili, per lui è naturale che le cose funzionino così, non è colpevole di qualcosa, è solo parte di un ingranaggio. Tocca alle altre componenti dimostrare che è possibile offrire di meglio e di più. Ma se i giornali e le riviste replicano le stesse cose che trovi sul web non ha senso. Ecco perché credo che gli approfondimenti dettagliati di Classix e Classix Metal (le cito perché ci scrivo, ma ci sono altri rari esempi come Il Mucchio Extra ed altri…), siano in grado di stimolare anche il lettore più esigente. Ma il punto è anche questo: siamo sicuro che al lettore interessi il dettaglio, il particolare? Temo che questa società sia improntata sulla superficialità, ed anche l’informazione si è adeguata, con articoli brevi e continui. Inoltre c’è anche il “problema” dell’oggetto fisico che sembra non interessare più a nessuno, si sta spersonalizzando e rendendo immateriale tutto (musica, parole, immagini…), tutto diventa astratto, irreale, lo vedi su uno schermo, ma non esiste. Fortunatamente c’è ancora una parte di pubblico che preferisce la carta stampata, l’importante, a mio avviso, è offrire qualità che resti nel tempo. Credo che sfogliare e leggere alcuni riviste o libri, anche a distanza di anni, risulti attuale. Ecco se le cose vanno così, allora ha centrato l’obiettivo.   

A stretto giro di tempo di due libri “importanti” che portano il tuo marchio di qualità. Com’è nata l’idea di “HM - Il Grande Libro Dell’Heavy Metal”? Quali gli obiettivi e quali i riscontri? 

-In realtà la cosa è stata semplice e naturale. Per la Giunti, avevo da poco aggiornato il volume “HM – I Moderni” e redatto “HM – I Contemporanei” e così il responsabile della collana musicale, Riccardo Bertoncelli, mi aveva proposto di aggiornare il volume “Metallus”, uscito nel 2001. Io ho solo chiesto di farne uno sulla stessa linea, ma del tutto nuovo. Mi sono circondato di alcuni fidati collaboratori (Lorenzo Becciani, Andrea Valentini, Giovani Loria, Massimiliano Sebastiani e Francesco Vaccaro) e lavorando in gruppo con professionalità e competenza tutto è filato liscio. L’obiettivo era di offrire una panoramica quanto più possibile credibile della storia dell’hard rock e dell’heavy metal dagli esordi ad oggi e direi che ci siamo riusciti. I riscontri? Direi ottimi, oltre ogni aspettativa, ci sono state alcune inevitabili critiche, ma il volume è stato apprezzato quasi da tutti, ho ricevuto moltissimi feedback positivi dai lettori (persino dall’estero), che poi è la cosa fondamentale, e per quel che ne sono, anche le vendite hanno soddisfatto la casa editrice.

Tenuto conto che si tratta pur sempre di un libro e non di una ‘Treccani’ del metal, hai dovuto effettuare delle scelte. Quali sono i criteri che hai utilizzato per decidere cosa scrivere e cosa non scriver?  

-Hai detto bene Salvatore, non è un’enciclopedia, ma un libro, inoltre avendo un notevole apparato fotografico, il testo doveva incastonarsi con una certa logica. Comunque ho avuto totale libertà decisionale, ho persino scelto le foto. Diciamo che con lo staff abbiamo fatto una selezione tra i gruppi fondamentali, poi i nomi importanti per storia e vendite e offerto spazio a qualche gruppo non di prima fascia, ma che ha lasciato una traccia comunque fondamentale. Abbiamo volutamente evitato di trattare la scena grunge, sfiorando solo quelle funky metal e crossover, con pochi fondamentali gruppi, relegandole in un box; in fondo sono movimenti non troppo amati dai metallari e che la Giunti aveva già trattato con volumi specifici nella collana “Atlanti Musicali”. Ci siamo inoltre impegnati a proporre qualche nome recente per offrire anche una prospettiva futura a questa musica, altrimenti c’era il rischio di apparire solo nostalgici, autocelebrativi e di guardare solo al passato, mentre l’heavy metal, in tutte le sue forme, è ancora molto vivo e presente e lo dimostrano le centinaia di nuove band in circolazione. Alla fine, inevitabilmente per problemi di spazio ho dovuto fare qualche taglio, quelli che mi hanno fatto sanguinare di più il cuore sono stati Rose Tattoo e Loudness, inoltre avrei dovuto inserire dei box sulla scena metal australiana e giapponese. Ma con un’opera così vasta dei ripensamenti sono inevitabili. Diciamo che sono tutte idee che tengo buone se in futuro ci sarà un aggiornamento.

In questi giorni “Il Negromante Del Rock”, l’autobiografia di Steve Sylvester che tu hai co-scritto, è in testa alle classifiche di vendita, nei settore musica, su alcuni siti specializzati in vendita di libri on line. Eppure i Death SS  non sono certo un gruppo “mainstream”. Ve lo aspettavate tu, Steve e Marco (Refe, il patron di Crac Edizioni)?

-Siamo tutti naturalmente sorpresi e felici, ma personalmente avevo molta fiducia. Conosco quanto i fan di Steve Sylvester siano fedeli e devoti, inoltre da anni in molti gli chiedevano questo tipo libro (che parlasse delle sue origini) e quindi quando è stato annunciato aveva venduto anche solo in prenotazione sul sito dei Death SS. Questo dimostra per l’ennesima volta la forza del pubblico heavy metal, l’unico in assoluto veramente passionale e non legato alle mode. Se ci pensi dire che sei un punk suona vecchio, dire che sei new wave è addirittura arcaico, ma per i metallari no, sono sempre in prima linea, non invecchiano mai. Quindi, per me, non si tratta di mainstream o meno, ma di coerenza e passione, valori che sono alla base di chi ama l’heavy metal e il rock duro in generale, elementi che alla fine premiano chi, come Steve Sylvester, è sempre stato un portavoce esemplare di questi valori. 

-Ci puoi raccontare qualche particolare? Ad esempio, come si sono articolate le operazioni di scrittura, la scelta degli aspetti da approfondire in apposite didascalie così come l’impaginazione in generale? 

-Innanzitutto fammi dire che scrivere questo libro mi ha permesso di conoscere due persone stupende, Steve Sylvester e l’editore Marco Refe. Di Steve avevo solo ottimi ricordi professionali, e che sia un’artista di caratura mondiale lo sappiamo tutti, ma conoscerlo da vicino vi assicuro che è veramente un’altra cosa, è una persona colta, raffinata, di una sensibilità fuori dal comune. Ma più di ogni altra cosa mi ha colpito la sua umiltà. Marco è una persona altrettanto colta e per bene, ma più di tutti mi piace molto quel suo essere uomo di business, ma con dei tratteggi nell’immagine e nelle argomentazioni che tradiscono i suoi trascorsi punk e hardcore e questo è fantastico! Il libro è nato da undici fogli scritti da Steve, che sono diventati lo scheletro di tutto, gli approfondimenti li ho sviluppati con lunghe interviste di persona (ho ore di materiale registrato…), e continue revisioni via e-mail. Persino a libro finito, praticamente in stampa, siamo riusciti ad aggiungere qualcosa. In ogni caso tutto quello che scrivevo è stato visionato ed eventualmente corretto da Steve, che ha avuto sempre l’ultima parola, anche se in effetti ha quasi sempre dato il suo consenso per la prima stesura. E qui mi ha colpito la sua precisione, la sua meticolosità, non lascia nulla al caso, anche le didascalie delle foto, per fare un esempio, le avrà verificate decine di volte. Per quanto riguarda l’impaginazione finale, a livello grafico è stato un lavoro tra Steve (che ha fornito tutto l’apparato fotografico) e Marco, poi io ho avuto l’idea del numero di catalogo 666 e Marco della costina con la scritta “In Death Of Steve Sylvester”. Voglio però ringraziare Marco Manetti e Carlo Lucarelli per aver fornito le loro prefazioni in modo del tutto naturale, ma anzi dimostrandosi felici di poter contribuire, perché considerano Steve un grande artista, innalzando il valore dell’opera. Grazie anche a Steven Rich e Andrew McFlower per aver permesso l’utilizzo parziale di alcune loro interviste e a Salvatore Fallucca che ha collaborato con me alla stesura delle discografia. E soprattutto grazie a tutti coloro che hanno acquistato ed apprezzato il libro. Credo che “Il negromante del rock” sia un libro che possa uscire dai confini degli appassionati di musica, perché contiene molto di più, in fondo è lo specchio di una società italiana degli anni ’70, bigotta e falsamente moralista.

Leggendo le dediche poste in successione nei ringraziamenti finali di “Italian Metal Legion” si percepisce quanto tempo hai dovuto sottrarre ai tuoi affetti più cari ma, soprattutto, quanto questo ti sia costato in termini di travaglio interiore. E quante volte avrai dovuto rispondere ai vari “Chi te lo fa fare !!??”. Ma quanto è forte l’amore di Gianni Della Cioppa per la musica?

-Posso solo dire che il mio amore per la musica è qualcosa di enorme, ha praticamente condizionato nel bene e nel male tutta la mia vita, ogni singolo giorno, direi forse anche ogni singolo momento. Le delusioni non sono mancate e più di qualche volta il famoso “ma andate a fun cool tutti” è partito, soprattutto quando qualcuno che non sa niente di me, si permette di criticarmi per qualche singolo episodio visto da lontano o riportati da qualcuno, ma poi alla fine la passione sulla musica ha vinto su tutto e sono ancora qui. Certo ho fatto sbagli, come tutti, ma la mia assoluta buona fede e l’onestà che ho, non permetto a nessuno di metterle in discussione. Negli anni ho imparato a metabolizzare anche le critiche, soprattutto se infondate, mentre sono sempre disponibile ad ascoltare quelle che ti fanno crescere e migliorare. Alla fine dico sempre: gli altri parlano, io faccio cose. Infatti ho due nuove progetti in partenza. Prometto che sarete i primi ad essere informati quando diventeranno ufficiali.

Semplicemente vogliamo chiudere abbracciandoti e lasciando che le ultime parole per i lettori siano le tue…

-Prima di ogni cosa voglio ringraziare te e tuo fratello Maurizio, per questa occasione, ma in generale per tutto quello che fate da decenni per sostenere la buona musica. Per rispondere dico che una volta una donna, gelosa del mio amore per la musica mi chiese “Ma in fondo cosa ti ha dato la musica?”. La mia risposta, che confermo ancora oggi, fu questa “La musica mi ha dato la libertà. La libertà di essere me stesso”. STAY ROCK!! 

Salvatore Mazzarella