SONS OF APOLLO - Live With The Plovdiv Psychotic Symphony

Inside Out
I Sons Of Apollo sono un supergruppo nato con la piena consapevolezza di esserlo. Basta pronunciare i nomi dei componenti per evocare subito bravura ed eccellenza nei rispettivi strumenti. Il cantante Jeff Scott Soto (Malmsteen, Journey), il bassista Billy Sheehan (Talas, Ufo, David Lee Roth, Mr Big), il chitarrista Ron Bumblefoot Thal (Guns And Roses), il tastierista Derek Sherinian e il batterista Mike Portnoy (Dream Theater) vantano tutti carriere illustri e riconoscimenti individuali sopra la media. Viste le premesse, la musica dei Sons Of Apollo non poteva che essere un rock pesante ma melodico, avventuroso e molto incentrato sui virtuosismi strumentali. Dopo un primo disco in studio del 2017, Psychotic Symphony, che aveva fatto molto parlare, ecco qui un monumentale doppio dal vivo di due ore e mezza registrato in Bulgaria con un'intera orchestra. Live With The Plodviv Psychotic Symphony e' un disco che annichilisce per maestosa padronanza che il gruppo mostra di avere sul palco. La lunghezza dello show e' dovuta, oltre che alla durata intrinseca dei brani, anche allo spazio lasciato ai singoli musicisti di esibirsi con svariati siparietti solisti. Inoltre viene proposta una nutrita serie di brani che hanno fatto la storia del rock più classico. Parliamo di artisti come Led Zeppelin, Queen, Pink Floyd, Rainbow, Ozzy Osbourne, Aerosmith e Van Halen. La scaletta la rigiriamo nella sua scansione per suddividerla in quattro sezioni. Brani tratti dall'album in studio, brani dei Dream Theater, solo spot dei singoli membri e cover dei gruppi storici. Lo show si apre con una ricca serie di pezzi tratti da Psychotic Symphony. Si parte alla grande con i dodici minuti di God Of The Sun, un brano dall'incedere maestoso caratterizzato da ritmiche sincopate e drammatici interludi ricchi di pathos. Tutta la band gira bene fin dall'inizio. Il riff cattivo e dissonante di Signs Of The Time si abbatte su di noi con forza. Divine Addiction e' un brano hard rock più classico, sorretto da un'atmosfera vagamente alla Deep Purple anche grazie all'emergere di Sherinian con sonorità Hammond. Un sound fiero e poderoso ci arriva anche con Lost in Oblivion. Alive è un bel pezzo che inizia melodico per poi esplodere a tratti in momenti più d'impatto, con un pregevole assolo di Ron Bumblefoot e un'intensa interpretazione di Jeff Scott Soto. Opus Maximus e' un altro brano monstre di oltre undici minuti. Come gia' nell'opener God Of The Sun, qui abbiamo atmosfere cangianti, momenti impetuosi alternati più lirici, il tutto arricchito da bellissimi chitarrismi. Anche i nove minuti di Labyrinth si ascrive in quest'otttica. Forza e solennità riconducibili allo stile Dream Theater. Il riff tastieristico di Coming Home introduce l'ultimo brano tratto dall'album del 2017, che incidentalmente chiude anche il concerto. Un'altra cavalcata che ci lascia senza fiato. Andando a ritroso nella scaletta, Just Let Me Breathe e' il primo titolo dei Dream Theater riproposto in questo contesto. Introdotto da un frenetico intro, That Metal Show Time, il brano tratto da Falling Into Infinity del 1997 viene riproposto con la giusta urgenza esecutiva. Dallo stesso album riascoltiamo con piacere Hell's Kitchen, con la sua atmosfera carica di tensione e di bellezza. Il terzo e ultimo capitolo targato Dream Theater che ascoltiamo e' tratto ancora dallo stesso album. E' la lunga maratona Lines In The Sand, un brano già maiuscolo che risplende di luce nuova. Il gruppo come abbiamo già detto è formato da gente di grande mestiere in grado di intrattenere il pubblico anche con simpatici siparietti come l'esecuzione del Pink Panther Theme di Henry Mancini. E veniamo agli spot solistici dei musicisti. Billy Sheehan quando apparve sulla scena veniva chiamato il Van Halen del basso e questo Bass Solo conferma la sua attitudine virtuosistica. Il momento di Jeff Scott Soto si risolve in un appassionato omaggio a Freddie Mercury con l'esecuzione di due classici del repertorio Queen, The Prophet's Song e Save Me, arricchiti dalla ripresa dei rimandi con il pubblico che caratterizzavano l'indimenticabile vocalist. Breve ma molto efficace il Bumblefoot Guitar Spot, che sfocia poi in una versione molto carica di And The Cradle Will Rock dei Van Halen. Questo ci introduce di fatto nella quarta sezione del live così come l'abbiamo suddivisa noi. Le altre cover illustri che ritroviamo sono Kashmir dei Led Zeppelin, Gates Of Babylon dei Rainbow, Comfortably Numb dei Pink Floyd, Dream On degli Aerosmith, Diary Of A Madman di Ozzy Osbourne e The Show Must Go On dei Queen. Tutti pezzi iconici stampati indelebilmente nel cuore di tanti appassionati. La maestria e la classe dei musicisti potrebbe talvolta non bastare per reggere il confronto con l'originale. Prendiamo Kashmir dei Led Zeppelin. Il pezzo viene reso molto bene, l'incedere maestoso, sensuale e implacabile viene garantito ma talvolta la pur grande voce di Soto non riesce a creare lo stesso pathos di Robert Plant. Gates Of Babylon e' un pezzo molto particolare da approcciare. Non a caso lo stesso Ritchie Blackmore non lo ha mai suonato dal vivo. Il cantato di Jeff Scott Soto riesce quasi a reggere il passo con l'immortale interpretazione di Ronnie James Dio. Ciò che è umanamente impossibile è confrontarsi con l'assolo che Blackmore ha registrato nel 1978. E non per un discorso di tecnica, quanto appunto per un discorso di ispirazione particolare e di unicità assoluta. Quella sequenza di note sembra provenire da un mondo alieno, inquietante, sulfureo e spiazzante. Non saranno le scale veloci a rendere migliore qualcosa di già perfetto nella sua abbagliante irregolarità. In passato ci hanno sbattuto contro fior di chitarristi come Yngwie Malmsteen e Doug Aldrich, e ora tocca a Bumblefoot. Il mestiere fa uscire dalla prova con dignità ma nulla piu'. Anche Comfortably Numb dei Pink Floyd e' una montagna difficile da scalare, l'assolo di David Gilmour e' bellissimo e particolare, ma qui il tutto risulta piu' riuscito. Dream On degli Aerosmith pone pure una bella sfida, non e' facile eguagliare l'approccio vocale di Steven Tyler che canta come un animale ferito. E anche la forza indomita e disperata del Freddie Mercury di The Show Must Go On e' uno scoglio arduo da doppiare. Onore al merito per averci provato. Va meglio con la tragica atmosfera di Diary Of A Madman do Ozzy Osbourne. Insomma, Live Wirth The Plovdiv Psychotic Symphony e' un disco monumentale, maestoso e totalizzante. Si respira aria di eccellenza musicale e di Storia del rock. Tutto questo all'insegna della bravura e della bellezza senza confini. Imperdibile. 

Voto: 9/10

Silvio Ricci