ALICE IN CHAINS - Rainier Fog

BMG
Gli Alice in Chains dopo la scomparsa di Layne Staley, che in qualche modo incarnò il concetto della loro canzone “We die young” , hanno deciso di continuare in “direzione ostinata e contraria” citando l’antologia postuma del Faber ed hanno continuato a produrre musica e a trasformare le loro emozioni in note. Lo fanno ancora con questo “Rainier fog”. Non voglio dilungarmi su chi siano e su come siano stati definiti sia prima che dopo la morte di Layne (e di Starr, da non dimenticare). Purtroppo le scelte non sempre sono positive e certe critiche sterili non hanno una logica se non quella di infangare la band. Anche perché in molti casi gli stessi delatori “passata la tempesta” hanno gridato al grande ritorno piuttosto che alla lungimiranza della band. Ma andiamo oltre che è meglio. Strutturalmente le sonorità sono tipiche della band, non vi sono deviazioni tali da definire la band fuori asse dal loro percorso. Vi sono sonorità tipiche del grunge e dell’alternative rock anni 90 del secolo scorso, attualizzate e con delle scelte talvolta particolari, con distorsioni sonore per le chitarre spesso di tipo stoner, cosa che si nota anche con il basso altrettanto saturato in quello stesso stile. Per quello che riguarda la voce William Duvall fa il suo lavoro che ricorda Staley ma non ne fa una fotocopia,anzi. Ovviamente le armoniche di Cantrell aiutano molto e va sottolineato che la band ha questa scelta; probabilmente un pochino per comodità ed un pochino per esigenze compositive, di cantare a due voci quasi tutte le tracce. la chitarra principale fa il suo, ma ci si sarebbe atteso qual cosina in più. Semplicemente perché in alcune parti risulta poco psichedelica. Ma sta più ad un concetto di vecchio appassionato e quindi di piacere personale e non certo di un errore. Di per se la batteria minimale e non eccessiva accompagna la band in tutti i suoi brani. Per quello che riguarda la post produzione, master e mixing nulla da dire. Ovviamente preciso e ottimo, forse troppo è quello il problema; forse mi sarei atteso alcune saturazioni in più e delle variabili “disturbanti” in più. Ma siamo nel campo del piacere personale e non dell’errore. Personalmente la canzone meno convincente di tutto l’album, e faccio una cosa al contrario del solito, è “Fly”. La ballata non rende come dovrebbe non riesco a comprendere se è una questione di arrangiamenti, se è un fattore di suoni o di ritmica, ma i tempi di “No excuses” sono passati e da parecchio. Per i brani che invece mi hanno colpito di più direi senza ombra di dubbio:”The one you know” che è la opener, la titletrack “Rainer fog”, “Drone” e “Maybe”. Concludendo un lavoro che da in parte un respiro di anni 90 a chi è diversamente giovane come il sottoscritto, per chi invece quel periodo non l’ha vissuto gli permette di avere una finestra socchiusa su quello che era un certo movimento musicale e se vogliamo di controcultura che ha dato vita ad altro. Per la band, direi un lavoro dignitoso e che ha delle capacità interessanti. 

Voto: 7/10 

A.S.