WILL O’ WISP - Mot

Nadir
Ecco un altro grande disco nostrano; di metal estremo, si, termine più azzeccato non si potrebbe trovare. Perché i nostri vanno all’estremo dell’heavy metal stesso; lo hanno sempre fatto, toccando lidi e profumi musicali differenti per combinarli in una formula unica e personale. Il primo incontro che ebbi con loro fu da giovane, perché lessi una recensione a loro dedicata in una defunta e storica rivista specializzata musicale nostrana. Poi nella mia precedente avventura ebbi l’onore di essere io a recensire (e grazie ancora per l’amicizia, la fiducia e la possibilità Paul, conservo ancora quel biglietto; ndr.) il loro ritorno discografico “Inusto” datato 2015 e intervistarli; eccomi ora a dare il mio piccolo parere sulla nuova fatica discografica. L’opener “I’m pestilence” parte in quarta con devastante e granitico death metal, con batteria tellurica; chitarroni compressi e tastiere di origine prog/fusion; il singer offre una performance potente e irosa. Cambi di tempo in blast beats e brano semplicemente distruttivo; tecnica eccellente e solos grande e melodico. “Throne of mekal” è distruttiva anch’essa, veloce, e perfetta macchina tellurica con un chorus che ti si mette in testa e cambi di tempo repentini, riffing maligni e con una soprano a dare profondità sinfonica. Prova vocale eccelsa con il singer che dallo screaming passa ad un growl profondo. “Rephaim” è un brano potente e quadrato in odor di progressive death metal; le tastiere e le orchestrazioni la fanno da padrone prima dell’accelerazione e sono la costante di tutto il brano. Difatti le chitarre graffiano e corrono sghembe, e facendo capire l’abilità tecnica dei nostri e la sagacia di saper cambiare registro integrando generi diversi; si sente un sapore orchestrale con l’aggiunta del flauto; un sapore antico e le percussioni che vengono da dimensioni care a Lovecraft e le orchestrazioni magniloquenti a rendere il brano denso, per poi riprendere a picchiare. “Descending the sheol” anch’esso brano con grande caratura tecnica, riffing e sezione ritmica veloce e tellurica per poi arrestare il tutto con tastiere cupe e solenni, partitura death/prog in controtempo, grande il singer. Cambi di tempo fluidi e solos stupendo melodico e ricco di colore quasi heavy classico. “Rain of fire” dura meno di tre minuti ma fa molto bene il suo dovere, riffing che graffiano in questo mid tempo e un singer con grande prestazione e registri e poi arriva l’intermezzo tellurico della batteria con rullate percussive e accelerazioni rabbiose. Le tastiere dipingono scenari inquietanti, con il flauto e il basso che fanno evoluzioni strumentali per poi riprendere a graffiare: c’è un senso di malignità e inquietudine in questo brano fluido e maligno. Dopo aver recensito il ritorno dei Gory Blister, ecco altri campioni nostrani che al pari dei meneghini, dovrebbero essere elevati per l’alta qualità della loro proposta; personalità e passione, sempre più orgoglioso dei nostri. 

Voto: 8.5/10  

Matteo ”Thrasher80”Mapelli