Agonia |
Il black metal non è solo una “provocazione” in senso musicale, ma in alcuni esempi soprattutto intellettuale; una frustata all’ego e soprattutto alla coscienza.
Questo disco è uno di quelli, questo bisognerebbe dirlo ai tanti soloni che sparlano di “artisti provocatori” per definire insulsi pupazzetti musicali d’ambo i sessi, divetti precotti da buttare ai ragazzini/e urlanti e che ci sfrantumano pure nelle pubblicità.
L’arte vera è anche saper essere coerenti e veri artisti sono questo gruppo francese di post-black metal che ha concluso con questo lavoro un concept ispirato all’opera del filosofo Henri Laborit; un concept durato tre dischi; questo album è un bellissimo trattato di filosofia estrema in musica.
“Disruption“, il primo capitolo è potente, veniamo svegliati da un riffing dissonante e tamburi rullante e frasi campionate, beats electro fanno capolino all’orizzonte ma con plettrate nerissime, mid tempo pesante, e con screaming altissimo e iroso.
Il brano ha anche sfuriate in blast beats e accordi in tremolo picking per poi arrestare tutto con riff inquietanti e un basso pulsante; un brano inquietante davvero con sferzate elettroniche che compaiono all’improvviso in tessuto nero come la pece.
“Enslaved by existence” inizia con degli accordi amplificati di chitarra e campionature per poi arrivare un black/doom metal con cori campionati che elevano la “Totentanz” di Franz Liszt; un ode nerissima alla perdizione; mid tempo lento, pesantissimo con riffing monocordi e ossessivi e screaming sussurrato, diabolico.
Il brano è cangiante, offre atmosfere sulfuree e nerissime, con inquietudine; tra rullate e riff dissonanti e echi industriali a rendere ancora più estrema e anticonvenzionale la proposta musicale.
“Hurlements en faveur de FKM” inizia con distorsione riverberata e accelerazione furibonda e riff gelidi, neri e senza respiro; lo screaming è pieno di odio e ira, poi dopo un attimo di calma apparente il brano rallenta di colpo divenendo possente, con riff monotoni e ossessivi e uno scream filtrato; questo dualismo sarà la cifra non solo per questo brano, ma per tutto il disco.
Una volontà per rendere disorientante e senza punti di riferimento al disco e concludendo il brano in accelerazione furiosa e senza pietà con synth in coda.
“Je pense donc je fuis” è il capitolo conclusivo, rullate con squarci elettronici ci portano lontano, i campionamenti vocali rendono ancora più intenso il brano che sale di grado con gravi note di basso e riff gelidi e spessi.
Cori puliti danno solennità al brano, arriva poi l’esplosione in black/industrial del riff elettrificato e screaming filtrato per rendere inumano ancora di più il tessuto sonoro; un brano cangiante, ricco di atmosfere diverse, che però sono tanta sostanza e coerenza, non sono messe a casaccio ma rendono bene lo scopo dei nostri.
Un lavoro particolare, un disco stupendo, veramente ricco di atmosfera e contenuto; un album non per tutti, ma consigliato coloro che sappiano godere e sentire l’arte applicata alla musica in tutte le sue forma, anche quelle estreme, eccellenza.
Voto: 9.5/10
Matteo ”Thrasher80”Mapelli