WOUND COLLECTOR - Eternal Bloodcult

Profane
Esistono cose lontanissime tra loro, che per puro caso, o per l’impavida intraprendenza di qualcuno, si fondono dando vita a qualcosa di nuovo e bellissimo. Esistono poi cose tra loro lontane che dovrebbero semplicemente rimanere dove sono. È questo il pensiero che mi sorprendo a formulare durante l’ascolto di “Eternal Bloodcult”, debut album della formazione belga Wound Collector. La band nasce dall’idea di Peter Verdonck, già noto sassofonista con un curriculum di tutto rispetto, di fondere le sonorità tipiche del suo strumento con il genere che da sempre ama: il death metal. Mi ritengo un’ascoltatrice aperta alle novità, con un debole per le contaminazioni e le sperimentazioni sonore. Eppure, questa ruvida mescolanza di death metal e sax che graffia l’orecchio fino a farlo sanguinare mi lascia del tutto disorientata, tanto da non riuscire ancora a capire se le due cose tutto sommato possano coesistere nello stesso disco oppure avrebbero dovuto rimanere lontane anni luce, perché se così è sempre stato deve pur esserci una ragione. Ed è inutile negarlo, al momento propendo più per la seconda ipotesi. Introdurre il sax in un disco metal è una strada già praticata da altri, seppur con parsimonia, e con risultati eccellenti: senza necessariamente scomodare grandi nomi come gli Amorphis, basti pensare ai Rivers Of Nihil, recentemente usciti con l’album “Where Owls Know My Name” per Metal Blade Records, in cui hanno proposto un death metal dalle forti tinte prog in cui il sax si ritaglia uno spazio adeguato e non troppo invasivo. È proprio questo, a mio avviso, il punto cruciale della questione: in un genere come il death metal, soprattutto nella sua dimensione più asciutta e diretta, uno strumento come il sassofono non dovrebbe aspirare ad un ruolo di primo piano, affiancando o sostituendo le chitarre nel riffing e nei fraseggi. Invece è esattamente questo ciò che viene proposto dal quartetto belga, uno sforzo che a mio avviso rimane nella sfera della pura sperimentazione. Cerco di isolare le due componenti tra di loro, perché sembra essere per me l’unica strada praticabile nell’ascolto. Verdonck è indubbiamente un sassofonista di talento, e l’approccio virtuosistico allo strumento mette in luce le sue indiscusse doti tecniche. Il resto del prodotto, scorporato dal sax, è un death metal piuttosto in linea con gli stilemi del genere. Ma pur sforzandomi di trovare una coerenza nell’insieme delle due cose, onestamente non ci riesco. La presenza ingombrante del sax tende a “sdrammatizzare” il sound cupo ed austero creato dal resto della band, privandolo di autorevolezza e conferendo al tutto una connotazione bizzarra e grottesca: se è proprio questo ciò che la band si prefigge, ovvero colpire e disorientare l’ascoltatore, probabilmente l’obiettivo è stato centrato in pieno, ma confesso che il risultato non è decisamente nelle mie corde. È vero, nella musica ormai sembra essere già stato detto tutto ciò che c’era da dire. È anche vero che il tentativo di trovare nuove strade va apprezzato ed incoraggiato, e di certo non si può dire che i Wound Collector manchino di estro e di inventiva, nonché di coraggio. Rimane il dubbio, tuttavia, che nel tentativo di rompere gli schemi abbiano voluto osare un po’ troppo. Dunque, esistono cose lontane tra loro anni luce, e che nonostante tutto riescono a fondersi con successo, ed altre che invece dovrebbero rimanere lontane. Oppure no: magari il segreto del successo è semplicemente nel saper accostare le due cose nel modo giusto, dosandole accuratamente e trovando il giusto equilibrio. Purtroppo, a mio modesto parere non è questo il caso. 

Voto: 5/10     

Sam A.