THE CROWN - Cobra Speed Venom

Metal Blade
Mamma mia che tranvata sulle gengive! Perchè questo grande ritorno degli svedesi, conferma che sono veramente risorti. Dopo un disco abbastanza fiacco e interlocutorio come il precedente “Death is not dead” i nostri tornano verso la casa madre Metal Blade e sfornano un disco pazzesco. Io li conosco da quando si chiamavano Crown of thorns, e li ho visti due volte, sia con “Tompa” Lindberg (At the gates) durante il tour di “Crowned in terror” e a Wacken nel 2003 e fecero tremare la terra. L’opener ”Destroyer by madness” è introdotta da archi minacciosi e già scorrono i brividi, perché la melodia verrà ripresa dall’attacco elettrico, dopo un’apertura terremotante fatta di rullate; un brano veloce, virulento, melodie dissonanti, riff scartavetranti e chorus. Blast beats a inframezzare la disruzione; il singer Johan Lindstrand è aggressivo al massimo; ci sono anche rallentamenti cadenzati marci con solos di alta qualità melodia, sentitevi le armonizzazioni.

“Iron crown” è serratissima, veloce e senza risparmiarsi, ti stampa contro il muro; riffing serratissimi, marcia veloce, screaming acidi e linee melodiche di chitarra nel chorus; ma il senso minaccioso del brano è presente. Grande intermezzo in up tempo violento e con solos da leccarsi i baffi, tecnica, melodia e assalto. “We avenge!” ti conquista fin da primo ascolto, brano da un riff memorabile, brano in up tempo percussivo, inquietante e dal feeling rock and roll per certi versi, e con un chorus che ti si stampa in testa con cori devastanti. C’è anche un rallentamento da headbanging assoluto con melodia e classe. La titletrack è spezzaossa, pronta per distruggere dal vivo, sentitevi l’introduzione minacciosa con rullate, tastiere e riffoni; poi la devastante parte in blast beats con accelerazioni, puro death/thrash svedese, con un chorus da urlare, screaming selvaggi e tapping persino. “Where my grave shall stand“ è il brano strumentale, ricco di melodia, potenza e con un retrogusto melanconico, un brano che fa vedere veramente la grande maestrìa della band non solo di picchiare con gusto ma anche di scrivere brani strumentali di ampio respiro affidati alle chitarre, prima della conclusiva e stupenda “The sign of the scythe”. Un disco favoloso che riconsegna una band considerata persa, risorta e soprattutto con un disco monumentale, bentornati ragazzi. 

Voto: 9/10  

Matteo ”Thrasher80”Mapelli