AGGLUTINATION 2019 – Il report del Festival @ Piazzale Scuole Medie, Chiaromonte (PZ) – 17.08.19

Quando parliamo di appuntamenti estivi in ambito Metal sappiamo perfettamente su quali eventi fare affidamento. Così orde di metalheads affrontano ore di viaggio e di fila sotto un sole molto spesso ostile per supportare questi eventi che rendono grande la nostra amata scena. Specialmente il meridione in questo periodo dell’anno può vantare un ventaglio di festival dove ci si riunisce al cospetto di vere e proprie leggende, infatti l’Agglutination Metal Festival in questo non ha mai deluso le aspettative. E’ il caso di dire che il 2019 è un anno speciale non solo per la scena metal meridionale, ma per il panorama del metallo tricolore in generale, perché il più longevo metal festival italiano ha appena raggiunto il quarto di secolo! Venticinque anni di Agglutination metal festival dove si sono succedute le band più importanti del panorama mondiale, dal Heavy classico al Power, Black, Progressive, Thrash, Death, Folk, Doom ecc. Un festival che ha il pregio non solo di puntare sempre più in alto, ma di soddisfare i palati sempre più esigenti del metallaro medio, sempre in costante evoluzione, ma radicato profondamente alle proprie origini.

Un sentito applauso quindi al patron Gerardo Cafaro e tutto il team per mantenere costante questo flusso da così tanti anni. Aprono questa edizione del festival gli Scream Baby Scream, il quintetto milanese attivo da quasi dieci anni propone un Horror Metal corredato da scenografie e tematiche di matrice occulta. La teatralità fa da padrona in questo progetto principalmente influenzato dai classici del cinema horror a cominciare dal monicker che probabilmente strizza l’occhio al classico indipendente targato Troma. E’ un po’ come se il filone esorcistico, slasher e zombie prendessero vita in questo interessante contesto musicale che la giovane band propone. Vi sono anche elementi elettronici ad incorniciare un sound deciso e spedito. Nonostante alcuni problemi tecnici l’esibizione non viene compromessa, così al frontman Damien Evil è affidata la responsabilità di rianimare il primo pubblico di questa edizione. A seguire i The Black abruzzesi capitanati da Mario ‘The Black’ Di Donato salgono sul palco proponendo un Heavy Doom dalle tinte oscure sin dai primi riff di chitarra. Bastano già le prime note per capire che ci troviamo di fronte a dei veterani di fine anni ’80. Inequivocabili sono alcune influenze provenienti dal rock italiano, non dimentichiamo infatti che Di Donato vanta una lunga carriera cominciata nel lontano 1967 e da allora ha evoluto il suo personale stile culminando nei progetti Requiem e successivamente The Black.

Anche qui alcuni problemi tecnici hanno tolto un po’ di tempo all’esibizione, ma senza scalfire quell’oscura magia di cui le note della musica dei The Black è intrisa. Terza band on stage i Carthagods, avevamo già visto esibirsi questa validissima band nell’edizione del 2015, ma quest’anno il pubblico ha potuto goderne di più, sia per una posizione più alta nel bill che per una crescita generale dal punto di vista tecnico e scenico. Reduci da uno show di supporto al final show degli Slayer a Bucarest, il quintetto tunisino impone un sound maturo, moderno e soprattutto compatto. I chitarristi Tarak e Timo Somers – quest’ ultimo in veste di live performer – mostrano un’affinità sorprendente su delle ritmiche che impongono riff destinati a rimanere impressi nelle menti degli spettatori. Ma il vero punto di forza di questa band è il carismatico frontman Mhadi Khemakhem, che instaura sin da subito un’intesa col pubblico e che riuscirà a conquistare grazie alla sua voce superba e sulle note della loro ultima fatica discografica, ‘The Monster In Me’. Eccoci finalmente di fronte ad un grande pezzo di storia del metallo tricolore: Strana Officina. Il tempo non sembra scalfire minimamente questi giganti del Heavy Metal che da oltre quarant’anni infuocano i palchi della nostra penisola e ci regalano momenti dove gli anni 80 vivono in un eterno presente.

Il pubblico è già carico e pronto a battere le mani e intonare insieme a Daniele ‘Bud’ Ancillotti il testo di ‘Profumo Di Puttana’. Seguita uno dei riff più coinvolgenti della setlist, ‘Sole Mare Cuore’, dalla chitarra infuocata del virtuoso Denis Chimenti in veste di sostituto del grande Dario Cappanera. Uno dei molteplici aspetti che rende grande questa band, in particolare dal vivo, è la solida sezione ritmica formata da Enzo Mascolo al basso e Rolando Cappanera alla batteria, un aspetto a cui molto spesso non si presta attenzione, ma che è determinante per far arrivare al pubblico in maniera uniforme dei brani provenienti da ogni fase della quarantennale carriera della band livornese. Arriva il momento di uno dei brani più amati dal pubblico, sulle note di ‘Non Sei Normale’ quasi possiamo sentire la voce di Bud che si confonde con quella della gente che intona il testo per tutto il brano e con una complicità sorprendente. Uno dei momenti più sentiti della setlist è il malinconico arpeggio di ‘Autostrada Dei Sogni’, dedicata ai compianti Fabio e Roberto Cappanera e Marcello Masi, storici membri della band ricordati con tanto affetto anche dal pubblico cullato e confortato dalle note della ballad. La setlist volge alla fine con ‘Viaggio In Inghilterra’ e ‘Officina’ che concludono un’esibizione che avrebbe avuto la più calorosa partecipazione del pubblico almeno per un’altra ora. Poi quando il sole è appena tramontato è il momento dei Carpathian Forest.

Siamo al cospetto di uno dei capostipiti del black metal norvegese, in tanti sono stati a macinare chilometri solo per assistere al loro show e le aspettative non sono state deluse. Le chitarre taglienti e arroventate di Malphas ed Erik Gamle ci investono senza pietà e la voce del leader Nattefrost si impone sulle note di ‘Through Self-Mutilation’. Segue l’introduzione di Nattefrost all’album ‘Defending Of The Throne Of Evil’ con il brano ‘Ancient Spirits Of The Underworld’ e la sua voce gracchiante e strozzata sembra provenire proprio dall’oltretomba per uno show destinato ad evolvere in un vortice di blast beat performati del batterista Audun. Inoltre, la scenografia ci trasporta negli anfratti più oscuri e sinistri della foresta ancora prima che la band inizi a suonare. Non sono mancate alcune parentesi goliardiche come l’introduzione di un’armonica a bocca da parte del frontman. Da notare che uno dei pregi di questa band è il tener fede al sound creato in studio, di gran lunga superiore a molti dei loro contemporanei dal punti di vista qualitativo. Ci sorprende anche l’introduzione di una cover dei The Cure: ‘A Forest’. Non succede molto spesso di vedere un classico di tutt’altro genere interpretato da una band storica del ramo Black Metal.

Salgono sul palco i Death Angel e siamo di fronte a quelli che a mio parere sono i veri protagonisti della venticinquesima edizione dell’Agglutination Metal Festival. Sin dalle prime note del line check il pubblico in attesa si scambia sguardi tra meraviglia e stupore per il cambio netto di sound. La storica band Californiana proveniente da San Francisco, ha appena rilasciato probabilmente uno dei migliori dischi Thrash Metal degli ultimi dieci anni: ‘Humanicide’. Nonostante questo sia il tour di promozione al succitato album, il brano di apertura è ‘Thrown To The Wolves’, tratto dal disco ‘The Art Of Dying’, un album che ha segnato la reunion del gruppo nel 2004. Si intuisce sin dalle prime parole che ci troviamo di fronte ad una delle voci più belle del panorama metal. Il frontman Mark Osegueda stabilisce una simbiosi col pubblico sin dal primo brano, con una parentesi per sottolineare quanto sia speciale questo giorno proprio per il compimento dei venticinque anni di Agglutination. Seguitano altri brani che tengono gli occhi del pubblico incollati al palco, mentre la sezione dedicata al moshpit non trova l’ombra di una pausa per tutta la durata dello show. Seguono brani immancabili come la bellissima ‘Voracious Souls’, tratta dal disco di debutto ‘The Ultra-Violence’, un gioiello di cui nessun vero thrasher può privarsi.

Qui in particolare notiamo la simbiosi tra i due chitarristi Rob Cavestany e Ted Aguilar, tra violente e precisissime plettrate alternate e dive-bomb selvagge. Un show davvero senza alcun tipo di sbavatura, e che prima di terminare con la titletrack dell’ultimo ‘Humanicide’ lascia riecheggiare nelle menti di tutti i metalheads queste parole: “We are Death Angel from San Francisco, Bay Area… and we play thrash fuckin’ metal!” Siamo giunti all’ultimo gruppo per questa edizione: i Napalm Death. I pionieri del Grindcore dalle sfumature Death Metal approdano sul palco dell’Agglutination con tutta la violenza di cui dispongono. Il suono grezzo fatto dalla chitarra di John Cooke (in veste di performer per i live) e di Shane Embury al basso danno la sensazione di far cedere il terreno. La violentissima ‘Unchallenged Hate’ rivela il frontman Mark Greenway in ottima forma, e l’estrema prestazione vocale non lo scalfisce nemmeno negli ultimi brani. La Death metal band britannica non sembra aggraziarsi proprio tutti i membri del pubblico, ma lo show prosegue senza sosta ed alla medesima violenza con brani come ‘Self Betrayal’, ‘Deceiver’, ‘Cesspits’ e molti altri. Il moshpit è proseguito anche qui senza esclusione di colpi rendendo giustizia alla performance che i fan di questa band si aspettavano. Anche per loro giunge il momento di una cover: ‘Nazi Punks Fuck Off’ dei Dead Kennedys, introdotta con tanto di pugno sinistro alzato al cielo. La performance si chiude con ‘Siege Of Power’, brano tratto da ‘Scum’ che funge da epilogo a questa splendida edizione dell’Agglutination Metal Festival e che dentro il nostro cuore di metallo ha già fatto partire il countdown per l’anno prossimo.

di Valerio Edward De Rosa - fonte LoudAndProud.it 
foto Policoro TV