ROTTING CHRIST - The Heretics

Season Of Mist
Tornano gli indiscussi capostipiti della scena Black Metal ellenica. Tornano con un nuovo album dopo la celebrazione del primo trentennale di carriera con l'antologia "Their Greatest Spells", particolarmente esauriente nell'illustrare tutti i vari periodi della loro ormai longeva ed importante carriera discografica. E soprattutto, dopo l'altra uscita antologica "Under Our Black Cult", mirata a raccogliere in cofanetto alcune mitiche reliquie del passato, in origine pubblicate esclusivamente su demo ed EP. Ma, nonostante sia tempo di celebrazioni, i nostri non si adagiano sugli allori. E il loro grande senso artistico con cui sanno ormai rendere pienamente manifesta l'espressività oscura tipica del Black Metal, elemento che i nostri hanno saputo portare ad eccelsi livelli qualitativi nel corso di tutta la loro longeva attività, è tutt'ora in fervente sviluppo. Senza mai fermarsi nè tantomeno fossilizzarsi sulle posizioni già consolidate in passato. Intendiamoci: la matrice del sound Rotting Christ, in bilico tra sonorità pregne di furiosa ed oscura violenza ed aperture al più "poetico" e melanconico Gothic Metal, rimane ormai un trademark. Ciò su cui voglio porre attenzione sono le eclettiche e spesso esotiche influenze musicali di contorno, che mi avevano già piacevolmente stupito all'epoca del penultimo "Rituals". E che si ripresentano anche su "The Heretics". Una volta il Black Metal era una definizione più tematica che stilistica. Poi vennero i norvegesi e... "rovinarono" tutto. Invece i Rotting Christ, nonostante mantengano generalmente connotati piuttosto addentro al Metal più estremo, danno forte impressione di comportarsi, compositivamente parlando, come se non avessero eccessivi limiti. A parte una forte identità concettuale, che riescono sempre a rispettare. L'importante, nella loro dimensione artistica, è mantenere un concept "satanico-ideologico" che caratterizza le liriche quanto il climax musicale. Bene, ascoltando "The Heretics", scopro quanto sia vero l'adagio che recita quanto l'arte non sia nelle note ma tra le note. In genere ho avuto spesso questa sensazione coi RC sin dai loro esordi, ma qui particolarmente... non posso fare a meno di ripensare al Paradise Lost di Milton nonché alle opere di William Blake. Del resto, stilisticamente, i nostri riescono sempre ad aggiungere elementi ulteriori, rielaborati ed inglobati nel loro sound con una disarmante naturalezza. Apprezzo l'enfasi narrativa dei canti simil-gregoriani e delle voci mantriche, elementi che si ritrovano spesso mescolati alla musica dei nostri lungo tutto l'album in questione. Particolarmente si ha riscontro di ciò sull'iniziale "In The Name Of God" (caratterizzata anche da una drammatica ed incisiva intro con lettura di passi delle sacre scritture su uno sfondo di minacciosi e spettrali cori da film horror). Mentre su "Vetry Zlye" troviamo anche il canto femminile dal sapore Folk dell'ospite Irina Zybina. Mi affascinano i ritmi complessi e le influenze derivanti dal Metal classico di "Heaven And Hell And Fire". Il tocco di classe finale è affidato poi ad una superba e convincente messa in musica della poesia di Poe "The Raven", con una voce narrante performata da Stratis Steele degli Endomain. Altri ospiti vocali inclusi nel disco sono: lo scrittore Dayal Patterson, autorevole biografo del Black Metal, narratore sulla sinfonica "Fire God And Fear", nonché Ashmedi dei Melechesh, che offre la sua performance vocale nella potentissima "The Voice Of The Universe". In finale, l'ultimo Rotting Christ si rivela essere un album che non mancherà di convincere chi è sempre stato affascinato dall'evoluzione artistica ormai tipica della band greca. Oltretutto, se su Wikipedia sta scritto che i nostri "hanno dato un grosso contributo all'EVOLUZIONE del genere Black Metal", un motivo ci sarà. Accendete quindi una candela nera, recitate un "Sathanas Tedeum" e iniziate quindi l'ascolto di "The Heretics". 

Voto: 8,5/10 

Alessio Secondini Morelli