DREAM CHILD - Until Death Do We Meet Again

Frontiers
Da una seduta di brainstorming tra il presidente della Frontiers Records Serafino Perugini e lo storico chitarrista dei Dio Craig Goldy, nascono i Dream Child, un nuovo super-gruppo, unitosi per creare ancora una volta della buona musica vecchia scuola, lasciando a Goldy la possibilità di mettere in pratica tutti gli insegnamenti appresi dall’esperienza maturata lavorando a contatto con Ronnie James, figura eccezionale nella storia della musica heavy/rock. Proprio a Dio è dedicato questo album, Until Death Do We Meet Again, e la nascita di questa formazione, che prende il nome proprio dalla canzone Dream Evil dei Dio e dal nomignolo che venne affibbiato a Craig. Lo start up viene dato da una tastiera in stile Horror di Dario Argento per poi esplodere nel più duro Hard Rock che immediatamente ci proietta alla fine degli anni ‘70 inizio ‘80. “Under the Wire”, di cui è disponibile il video, è bella aggressiva e ritmata, ruvida come carta vetrata e molto “Chitarrosa” proprio come piace agli amanti dell’epoca. Il copione si ripeterà per tutto l’album caratterizzando però ogni brano senza che l’uno sia uguale ad un altro. Per esempio “You Can’t Take Me Down” inizia con una bel cantato per poi esplodere in un 4/4 incalzante arrivando ad un masterpiece dell’ LP come “Games Of Shadows” che sembra una side track di Rising dei Rainbow. Sonorità di tastiera iniziali più moderne in “It Is What It Is” che vengono subito surclassate da un ipnotico riff di chitarra incalzante ed avvincente.Brani come “Playing With The Fire” e “Light Of TheDark” sembrano uscire da una capsula del tempo riaperta solo ai giorni nostri. Nella magnificenza di “Midnight Song” si percepisce anche un infusione sonora proveniente da The Voice of Rock, Mr. David Coverdale ed i suoi Whitesnakes. Tutta roba di grande qualità!. Un capitolo a parte per la Title Track “Until Death Do We Meet Again” ove l’anima di Ronnie James Dio per un attimo è scesa dall’alto dei cieli incarnandosi nelle corde vocali di Diego Valdez per un ultimo brano incompiuto: una performance vocale eccezionale. A seguire una bella contrapposizione tra surreali tastiere e concretissime chitarre che delineano un ottimo Prog in stile Uriah Heep grazie a“Washed Upon The Shore”. Una volta sceso dall’alto dei cieli, Ronnie non poteva accontentarsi solo di “cantarne una” ed ecco che dalle B-Side di Last in Line tira fuori “In A World So Cold”, brano spettacolare. “Weird World” rallenta un po’ i tempi con una song che, per il vero, sembra quasi estranea al resto dell’album, avvincente e strutturata ma un po’ eterogenea rispetto al resto. Conclusione epocale con la epica “One Step Beyound The Grave” che offre quasi 9 minuti di pura essenza Hard Rock, il sunto di un epoca riproposto in un’unica traccia che racchiude il motore pulsante di decine di band. Il risultato è un disco splendidamente suonato e interpretato da tutti, registrato magistralmente daAlessandro Del Vecchio e dallo stesso Goldy che non mancherà di riscaldare il cuore dei fan della musica pesante. La grande caratura dei musicisti coinvolti, infatti, riesce a creare un amalgama compatto e privo di sbavature che porta a dodici tracce in bilico tra Hard Rock ed Heavy Metal. In particolare, colpisce la potenza della voce di Valdez, decisamente vicina a quella del compianto Ronnie James Dio; gli intrecci chitarristici dell’ex-Dio e Findlay; la sezione ritmica rocciosa opera del duo Suarzo-Wright e il tappeto di tastiere di Findlay. Ogni tassello si incastra perfettamente, a completare un mosaico che, seppur non brillando in originalità, suona attuale, di assoluto valore e dannatamente convincente. 

Voto: 8,5/10 

Bob Preda