MOURNFUL CONGREGATION - The Incubus of Karma

Osmose
La solare Australia è nota ai più per le spiagge, le belle ragazze, alcune dive del cinema e popstar e per essere la casa degli Ac/Dc. Ma tutto questo cambia con questa formazione, perché sul continente oceanico viene steso un drappo funereo violaceo. Perché dico questo? perchè la band che tratteremo è australiana, ma non parla di mare, sole e bevute e party; no, tratta dolore, morte, tristezza e desolazione. I Mournful congregation sono delle colonne del genere extreme funeral doom, e dopo 6 anni di attesa tornano sul mercato col nuovo full lenght. I brani sono lenti, tristi, malinconici; le melodie delle chitarre sono dolorose, una cappa di desolazione pervade il disco, le canzoni sono quasi tutti di lunghezza alta, ma pervasi di una bellezza languida. L’heavy metal è pachidermico, pesante non solo a livello emotivo, ma anche strumentale; basta sentire il brano “Whispering spiritscapes”;batteria, lenta, basso e chitarre pesantissime, distorte ma pregne di pathos emotivo; la melodia è presente, anche se declinata in toni dolorosi e cupi.

Le linee vocali sono dei growl profondi, catacombali; eppure c’è della bellezza, perché i brani tengono alta l’attenzione con una sapiente scrittura, che riesce a far bilanciare atmosfere pesanti a melodie pulite usando anche armonizzazioni. La titletrack è introdotta da un arpeggio malinconico ma stupendo di chitarra acustica sulla quale interviene un dolente solo di chitarra elettrica, e tempi lentissimi di batteria. Un brano pieno di pathos emotivo; le chitarre elettriche cesellano melodie crepuscolari, ma con qualche richiamo al metal classico più ossianico e goticheggiante, un brano strumentale notevole per la tensione e la capacità tecnico/strumentale. I quattro componenti della band australiana sanno veramente plasmare a loro piacimento la materia con perizia e gusto sottile e sopraffino come nell’ultimo pezzo, il lunghissimo “A picture of the devouring gloom, devouring the spheres of being”,dove il singer e chitarrista Damon Good, usa sapientemente i suoi laceranti e profondissimi growl centellinandoli, facendo parlare più la sua chitarra attraverso distorsioni e linee melodiche dolorose e malinconiche. Un disco di pochi brani, solo sei, ma tantissima sostanza; un disco perfetto per le giornate uggiose e temporalesche, sapranno dare un tocco aderente alla vostra anima. 

Voto: 8/10  

Matteo ”Thrasher80”Mapelli