BABYLON A.D. - Revelation Highway

Frontiers
A volte ritornano, scriveva il maestro Stephen King in una delle sue raccolte di racconti più celebri. Nel mondo della musica, la frase si dimostra di notevole attualità, dal momento che negli ultimi anni sono davvero molte le band che, scioltasi per i motivi più disparati, hanno fatto ritorno, spesso anche con buonissimi risultati. Quest'oggi il comeback di cui ci occupiamo è quello dei Babylon A.D., gruppo formatosi nel 1988 a San Francisco e dedito ad un hard rock a tinte glam che fece loro guadagnare una certa notorietà con il primo omonimo disco. Dopo lo scioglimento avvenuto nel 2000, il quintetto si è riunito nel 2014 per festeggiare il proprio venticinquennale ed ora, grazie alla Frontiers Records, pubblica il suo primo album in diciassette anni, intitolato Revelation Highway. E' quindi palese aspettarsi un loro ritorno privato della scintilla giovanile, semmai lo si può ritenere come una valida raccolta di pezzi hard rock, ben suonati e arrangiati, oltre che ottimamente prodotti: canzoni di presa immediata, a tratti entusiasmante per il rocker d'annata, ma destinate a vita breve. Prendete l'opener dell'album, Crash and Burn: charleston aperto, classico riffone hard-sleaze, canonico bridge e ritornello di circostanza. Forse più stradaioli di due decenni fa (a tratti pare di ascoltare gli L.A. Guns), i Babylon A.D. ce la mettono tutta e il risultato è piacevole, ma sostanzialmente inerte.

Fool On Fire non aggiunge molto, mentre il singolo One Million Miles convince maggiormente, grazie a un tono strascicato che ricorda vagamente i Faster Pussycat. Dopo un'apertura da power ballad, Tears si trasforma in un hard rock veramente "protonovantiano" che rivela tutti i propri anni. Non male, per carità, ma senza nerbo e parzialmente anacronistico. She Likes to Give It ha un titolo che più anni ottanta non si può ed è forse la cosa migliore di un pezzo che prova in ogni modo a ricalcare i fasti dei primi due dischi della band, in parte riuscendoci, in parte scadendo nell'autocitazionismo. Più accattivante è, invece, Rags To Riches, forte di un riff molto vecchia scuola ma capace di suonare ancora fresco, grazie a una linea melodica e una dinamica d'insieme finalmente convincenti. Last Time For Love è un mid tempo di inizio anni novanta (ancora) e ha una propria dignità di vecchia signora. Ma non vivrà a lungo. Lo stesso dicasi per la discreta I’m No Good For You. Finalmente arriva Saturday Night, che scalda l'atmosfera e porta un divertimento che sarà anche canonico e strasentito, ma alla fine ci piace sempre. E infine un riffone quasi class metal (un po' Dokken) apre Don’t Tell Me Tonight, che purtroppo non regge il proprio minutaggio e stanca già all'altezza del ritornello. Non siamo alle prese con un album destinato a rivoluzionare la storia del genere, tanto più che qui e là va registrata la presenza di alcuni evidenti filler; detto questo, l'album funziona bene e scorre via piacevolmente, soprattutto nella prima metà, che appare più riuscita della seconda. I musicisti suonano in maniera valida e, in generale, hanno prodotto un comeback forse non straordinario, ma comunque sufficientemente godibile per gli amanti dell'hard rock e dell'heavy metal più melodico ed anni 80. 

Voto: 7,5/10 

Bob Preda