AXEL RUDI PELL - Into The Storm

SPV/Steamhammer
Ascoltare Axel Rudi Pell, è come mangiare il solito piatto. Questo potrebbe portare in certi casi un po’ di noia, salvo se gli ingredienti diventando sempre più gustosi e saporiti pur essendo i medesimi. Siamo nel caso di Into The Storm, un disco che nel complesso da un punto di vista stilistico non si differenzia dai suoi predecessori, in particolare gli ultimi tre album dell’ascia teutonica, parliamo di Circle of the Oath, The Crest e Tales of the Crown. Sono però alcuni fattori che però questa volta rendono questa ultima fatica di Axel Rudi Pell ancor più interessante del solido. In primis il suono, questa volta più attuale e moderno. Pulito in più frangenti e certamente più adatto a quello che lo stile di Pell. Nella formazione che poi lo accompagna,  Johnny Gioeli è ormai un’autentica certezza. La sua voce è perfetta per le note di Into The Storm, già da Tower of Lies e Long Way to Go, traspare la sua forza espressiva e la brillantezza del suo timbro, che rendono ogni brano unico nel proprio genere. L’altro aspetto che rende Into The Storm un disco dal ritmo suadente, è l’ingresso dietro le pelli di Bobby Rondinelli al posto di Mike Terrana, certamente più adatto rispetto al batterista americano nel connubio musicale con Axel Rudi Pell, che in Burning Chains cerca di far rivivere l’effetto di Burn dei Deep Purple. L’impronta di Axel Rudi Pelle è unica, ormai ha il suo marchio di fabbrica inconfondibile, aspetto che traspare in pezzi raffinati ed anche ispirati come When Truth Hurts e più intensi e ruggenti come Changing Times, più incline ad un power metal scandinavo che tedesco. Resta però palpabile un dato di fatto, ovvero la forte identità di Axel Rudi Pell contagiata dallo stile di Blackmore. E’ nei Rainbow il punto di riferimento principale, come anche nei Deep Purple del periodo con Gleen Hughes e Coverdale, aspetti che si possono toccare con mano in  Touching Heaven, oppure in High Above. Axel Rudi Pell è in gran forma, i suoi assoli sanno estasiare e non sono mai banali o prevedibili. Un punto di forza per un artista che con Hey Hey My My (Neil Young cover), si mette in gioco con qualcosa di differente dalla consuetudine. L’apice del disco, giunge con la title-track, in una suite di circa dieci minuti di durata, dove l’artista tedesco da sfogo al suo estro ed a tutta la sua classe compositiva, facendo trasparire non solo la qualità d’estro, ma anche il sentimento, puntando sulla musica per comunicare con naturalezza il suo stato d’animo. Forse sarà sempre lo stesso disco per molti, ma se i contenuti sono costantemente i medesimi, ben venga questo insieme d’eleganza.

Voto: 8/10


Maurizio Mazzarella