Agglutination Metal Festival 18° Edizione - Chiaromonte (PZ), 25/08/2012

Rhapsody Of Fire (Metal.it)
E fu così che l’Agglutination, il festival metal più longevo ed importante del meridione d’Italia, diventò "maggiorenne", e per il suo 18° compleanno lo storico organizzatore, Gerardo Cafaro, ha pensato bene di regalare ai fans del sud uno dei migliori bill di sempre di questa manifestazione, con tre gruppi del calibro di Rotting Christ, Rhapsody Of Fire e - come headliner - i Dark Tranquillity.

Dopo tantissimi anni, si ritorna nel campo sportivo di Chiaromonte (PZ), ristrutturato negli ultimi anni, con campo in erba sintetica e spalti rifatti, che dunque già offre un’immagine diversa e migliore rispetto a quella cui eravamo abituati nelle ultime edizioni al campo sportivo di Sant’Arcangelo prima e al piazzale della scuola di Chiaromonte, poi.

C’è da dire che quest’anno si è notato un incremento di pubblico rispetto alle sole 350-400 presenze dell’anno scorso, ma ad occhio direi che non si è andati oltre le 700-800 unità, e con gruppi quali gli ultimi tre, francamente credo sia ancora poco, pur considerando la difficile situazione economica che stiamo attraversando, la difficoltà di raggiungere la sede del concerto ed altro. Come sempre, un plauso grandissimo va a chi organizza questo festival e ai fans che anno dopo anno non fanno mai mancare il proprio supporto e la loro presenza.

GHOST BOOSTER
Intorno alle 17 si aprono i cancelli, e sulle assi da palcoscenico tocca subito ai Ghost Booster, da Cosenza. Sono fautori di un metal moderno, con venature thrash e vagamente progressive, potente ma sempre piuttosto melodico, grazie al buon lavoro svolto dal cantante Paolo Nardelli, in particolare su Energy Drink, che lo stesso annuncia con una birra in mano! Gli altri due pezzi suonati dalla band sono De Gustiboost e Space Blackout (quest’ultima dedicata a tutti i metallari del sud Italia). C’è ancora poca gente sotto il palco, sia per l’orario e per il sole ancora cocente, che per i controlli prolungati da parte delle forze dell’ordine all’ingresso che, stando ai racconti da parte di alcuni presenti a dir poco amareggiati, in certi casi non tardano a sequestrare cinture e bracciali borchiati, quando poi all’interno dell’area concerti alcuni stand vendevano le stesse cose. Le stranezze dell’Italia, delle quali ovviamente neanche ci meravigliamo più.

POEMISIA
A seguire, tocca ai Poemisia, symphonic-gothic metal band proveniente da Napoli, nella quale spiccano le figure di Marco Monaco alla chitarra (con una t-shirt del gruppo), Ciro Scognamiglio alle tastiere (con tanto di face-painting) ma -soprattutto- la vocalist Tina Gagliotta, avvolta in un vestito color nero e viola, che incanta il pubblico con la voce prettamente di impostazione lirica, chiaro il riferimento a Tarja Turunen e altri mostri sacri del genere. Si inizia subito con Amnesia, per passare poi in rapida successione a The Awakening, annunciata dal tastierista con la frase "Siamo i Poemisia da Napoli e siamo molto incazzati" per concludere poi con La Danza Degli Spiriti. Come spesso capita in questi casi, tra i presenti c’è chi apprezza, chi comunque incuriosito assiste al concerto con interesse e chi invece storce il naso. Da parte mia, posso dire che per quanto l’originalità non sia certo il loro forte (troppo scontati i richiami ai vari Nightwish, Within Temptation ecc.) devo dire però che la band mi è sembrata affiatata e ben convinta delle proprie potenzialità. Gli applausi a fine prestazione non sono comunque mancati, anche se accompagnati da alcuni mugugni, come accennato in precedenza.

TWILIGHT GATE
La terza band ad esibirsi è quella che ha vinto il contest take-off per le band emergenti, ossia i Twilight Gate, band power-progressive metal proveniente da Bari. Si parte al fulmicotone con Fate, splendido episodio di epic-power metal sparato a mille e melodico all’ennesima potenza, con un ritornello grandioso e ritmiche potenti sulle quali la voce di Stefano Fiore si trova a meraviglia. Il pubblico apprezza, al punto che nelle prime file si iniziano ad intravedere addirittura i primi segnali di pogo e moshpit della giornata! Propongono poi la più cadenzata Land Of The Wiseman e per finire una riuscita cover di Powerslave degli Iron Maiden, riprodotta fedelmente rispetto all’originale. Posso dire fin da subito, che tra i gruppi italiani emergenti esibitisi prima dei 3 gruppi finali, i Twilight Gate sono stati a mio avviso i più convincenti, anche a giudicare dalla risposta del pubblico presente.

LUNOCODE
Salutati i Twilight Gate, è la volta dei perugini Lunocode, altra band band con vocalist al femminile, la "rossa" Daphne Romano. I primi due brani sono tratti da "Celestial Harmonies", disco targato 2012, nell’ordine Cosmic Architect e Sin Cara. Il loro è una sorta di hard rock-prog metal di maniera, ispirato a gruppi quali Pain Of Salvation, Fates Warning, Ayreon ma con la bella voce -nonché bella presenza- di Daphne a contribuire a dare un pizzico di originalità alla loro proposta musicale. Ottima anche la sezione ritmica che crea un discreto muro sonoro a sostegno delle chitarre pesanti di Paride Mazzoni e Giordano Boncompagni.
Il terzo e conclusivo brano è Buried In The Abyss, molto oscuro, intrigante e con un bel contrasto tra la durezza delle ritmiche e la melodia delle linee vocali. Nel complesso una prestazione che -a parte gli immancabili critici, insoddisfatti e musi lunghi- ha convinto buona parte dei presenti, compreso il sottoscritto.

VEXED
Quando salgono sul palco i lombardi Vexed, si cambia totalmente registro, come già faceva capire a chiare lettere il logo della band affisso sul palcoscenico, recante la scritta "violent blast metal". Dunque assalto sonoro e violenza a volontà per un thrash-death metal piuttosto ferale e diretto, dall’iniziale Collection blood, passando per Nuclear Babylon fino a Bloody Thrash (tratta dall’ultimo full lenght "Void MMXII") per concludere con la cover dei Venom "Black Metal". Vengono un po' penalizzati dai suoni e da un impianto audio non sempre impeccabile (come poi avrete modo di leggere anche riguardo ai Rotting Christ e ai Dark Tranquillity), ma alla fine quello che volevano trasmettere era odio, distruzione e furia cieca ed in questo ci sono riusciti perfettamente, ben guidati dal cantante/bassista Mik, proveniente dai Longobardeath, che incita più volte il pubblico che risponde a volte in modo entusiasta, altre volte invece in maniera piuttosto tiepida, vuoi per la proposta musicale un po’ ripetitiva che per i suoni come detto un po’ troppo impastati.

ECNEPHIAS
Inizia a calare il sole, ed è la volta dei lucani Ecnephias, che iniziano subito con Fiercer Than Any Fear, pezzo che rappresenta al meglio il genere musicale proposto dai nostri, influenzato dai vari Paradise Lost, Tiamat, Moonspell e -perché no- anche Rotting Christ, il tutto condito da inserti nella nostra lingua (che rendono il tutto più originale e piacevole da ascoltare) e da alcune parti di tastiera da parte di Sicarius Inferni, che fanno da contorno ai brani, senza invadere troppo le ritmiche incentrate sulla coppia chitarre di Mancan e Nikko e da una sezione ritmica precisa e con suoni molto corposi e curati. Si prosegue con quello che Mancan stesso definisce il loro inno, ossia "A Satana", e poi ancora A Strange Painting (preceduta da un saluto alla loro regione, la Basilicata) per finire con Lost Love Ballad, introdotta da un pregevole intro di tastiera. Una prova che senz’altro ha convinto il pubblico, con una band che ha dimostrato di avere ormai qualche anno di esperienza alle spalle, e che nonostante l’evidente emozione provocata dal fatto di giocare "in casa", se l’è cavata più che egregiamente.

ROTTING CHRIST
Dal momento che i Destroyer 666 pochi giorni prima della manifestazione hanno annullato la loro partecipazione a questo festival, l’organizzazione decide di concedere qualche minuto in più alle ultime bands. Così quando ormai la notte sta per prendere il sopravvento, ecco che arrivano puntuali i greci Rotting Christ, accolti da una bandiera della Grecia in prima fila ed altri vessilli e sciarpe rappresentanti il paese ellenico. Iniziano subito con l’accoppiata Feast Of The Grand Whore e Forest Of N'Gai, suonate in rapida successione e poi passano in rassegna gran parte della loro ormai corposa discografia, da Athanati Este ("you’re immortal", come dice un Sakis in forma smagliante al microfono durante l’annuncio del brano) alla primordiale "Fgmenth, Thy Gift", fino alle più recenti Eon Aenaos ed Enuma Elish. Non potevano mancare poi Non Serviam e The sign of prime creation, due autentici inni della band eseguiti alla perfezione. La chiusura è affidata a Noctis Era, tratta dal loro ultimo lavoro discografico in studio "Aelo", che va a suggellare una prestazione eccellente per precisione, affiatamento e ovviamente cattiveria, tutto riversato in quantità industriale su di un pubblico estasiato. L’unica nota negativa viene solo dai suoni certamente non curati alla perfezione (credo per colpa di chi gestiva l’impianto audio), con il suono che a volte scompariva dalle casse posizionate sulla sinistra, altre volte invece scompariva – o quantomeno diminuiva – sulle casse di destra, fino all’increscioso episodio verificatosi durante uno dei primi brani, quando l’audio è praticamente scomparso, per colpa di qualche problema sempre al banco del mixer, scatenando fischi di disapprovazione da parte del pubblico verso i tecnici del suono. Da sottolineare invece come i Rotting non abbiano fatto una grinza, continuando a suonare e a pestare con i propri strumenti come se niente fosse, senza nemmeno protestare o interrompere il proprio concerto, come invece credo avrebbero fatto molte altre band al posto loro, anche ben più famose. Peccato soltanto che a causa dei 60 minuti che hanno avuto a disposizione non sia stato possibile ascoltare qualcosa da altri albums storici quali "A Dead Poem" o magari anche "Triarchy of the Lost Lovers" e "Kronos" (canzoni quali "King of a stellar war" o "If it ends tomorrow" non mi sarebbe certo dispiaciuto ascoltarle!) ma lo spettacolo è stato piacevolissimo lo stesso. Dunque applausi meritatissimi alla fine per i greci, che salutano sorridenti il pubblico dell’Agglutination.

SETLIST:
1. Feast Of The Grand Whore
2. Forest Of N'Gai
3. Athanatoi Este
4. Enuma Elish
5. Non Serviam
6. The Sign Of Evil Existence
7. Dub-Sag-Ta-Ke
8. Eon Aenaos
9. The Call Of The Aethyrs
10. The Sign Of Prime Creation
11. Phobo's Synagogue
12. Fgmenth, Thy Gift
13. Noctis Era

RHAPSODY OF FIRE
Come da tradizione, l’Agglutination si rivela sempre un festival metal a 360°, così ora tocca ai nostrani Rhapsody Of Fire, lontani anni luce dal genere proposto dai precedenti Rotting Christ. L’inizio è affidato alla title-track del loro ultimo album, From Chaos To Eternity, e fin da subito ci si rende conto che la band è in ottima forma, a cominciare dal vocalist Fabio Lione che sfodera una performance impeccabile, dalle note più basse fino alle tonalità più alte, canta e intrattiene il pubblico con una facilità disarmante. Vista l’assenza stasera del secondo chitarrista Tom Hess, a Roberto De Micheli spetta l’ingrato compito di sostituire in sede live le sue parti, oltre ovviamente a quelle che furono dello storico chitarrista Luca Turilli, che come sapete ha da poco lasciato i Rhapsody Of Fire per intraprendere la carriera solista. Alla fine dei conti se la cava in maniera brillante, sia nei soli che nelle ritmiche, un chitarrista formidabile, accompagnato da una formazione altrettanto valida, come dimostrato dal granitico (e preciso all’inverosimile) muro sonoro della sezione ritmica composta dal batterista Alex Holzwarth e da Oliver Holzwarth al basso. Alex Staropoli alle tastiere non credo ormai abbia bisogno di presentazioni, e come detto Fabio Lione è in serata di grazia. La scaletta ci propone cavalli di battagli quali Dawn Of Victory e Holy Thunderforce (che addirittura scatenano un discreto pogo tra i fans!) e le più recenti Triumph Or Agony e The magic of the wizard's dream, quest’ultima preceduta da un aneddoto raccontato da Lione, secondo il quale Christofer Lee (per chi vivesse su un altro pianeta: uno dei protagonisti de "Il signore degli anelli", che ha anche collaborato con i Rhapsody Of Fire) voleva addirittura registrarla in ben nove lingue! Non poteva mancare quella che poi, come ricorda sempre Lione, è stata la prima canzone scritta completamente in italiano dalla band, ossia Lamento Eroico, tratta dal grandioso "Power of the dragonflame", dal quale viene anche pescata la splendida semi-ballad March Of The Swordmaster, cantata a squarciagola dalla maggior parte dei presenti. Salutata momentaneamente la folla, i nostri ritornano acclamati on stage, per un bis che propone Reign Of Terror e la storica Emerald Sword, che infiamma letteralmente il pubblico che impazzito partecipa alla canzone e scatena un pogo nelle prime 7-8 file degno di una band estrema o punk! Ammetto che io per primo avevo dei dubbi circa il concerto odierno di questa band, vuoi per l’abbandono di Turilli e la momentanea defezione di Hess, che per un genere come quello proposto dagli stessi, che magari non tira più come una volta, e invece sono stato piacevolmente smentito da questi Rhapsody Of Fire, che escono di scena tra gli applausi convinti degli spettatori.

SETLIST:
1. Intro: Ad infinitum
2. From Chaos To Eternity
3. Triumph Or Agony
4. March Of The Swordmaster
5. Unholy Warcry
6. Lamento Eroico
7. The Village Of Dwarves
8. Dawn Of Victory
9. The magic of the wizard's dream
10. Holy Thunderforce
BIS
11. Reign Of Terror
12. Emerald Sword
13. Outro

DARK TRANQUILLITY 
A distanza di 4 anni dalla loro precedente partecipazione all’Agglutination, tornano - sempre nel ruolo di headliner - i Dark Tranquillity. La band di Göteborg attacca subito con uno dei pezzi forti della loro recente discografia, ossia Terminus (Where death is most alive). Il resto della scaletta prevede per la maggior parte brani più o meno recenti, da In My Abscence e Dream Oblivion, tratti dalla loro ultima fatica discografica "We Are The Void" a brani provenienti dall’ottimo "Damage Done", come The Treason Wall e la sempre trascinante Monochromatic Stains, splendido episodio dove le tastiere futuristiche di Martin Brandstrom si fondono alla perfezione con la pesantezza dei riff della coppia Henriksson-Sundin e le clean vocals miste ai più classici growls del buon Mikael Stanne. Già, proprio il biondo vocalist, che non perde niente della sua proverbiale grinta e cordialità on stage, sebbene gli anni passino anche per lui e magari il suo storico "ruggito", soprattutto sui brani più aggressivi, non sia più quello dei bei tempi andati. Più di una volta ricorda come questa sia la seconda esibizione nel sud Italia e come trovi il nostro paese "amazing and beautiful, about sea and food, but very hot!", ottima introduzione alla successiva The Sun Fired Blanks, uno dei pezzi migliori del disco "Projector", risalente al 1999. C’è anche spazio per l’ultimissima Zero Distance, canzone che dà il nome all’ultimo EP della band pubblicato quest’anno, molto veloce, potente e melodica al tempo stesso, con le immagini del video che per tutti i 4 minuti abbondanti scorrono sul maxi-schermo della band, fissato sopra la batteria di Anders Jivarp, che continuerà a proiettare splendide immagini fantasy e non solo per tutta la durata del loro concerto. Uno degli apici della serata si tocca con l’accoppiata Misery’s Crown + There In, suonate praticamente insieme e cantate a squarciagola dai fans. Bellissima come sempre The Mundane And The Magic, magnifico intreccio di romanticismo unito a cattiveria, di dolcezza unita all’aggressione sonora, con le suadenti parti vocali femminili di Nell Sigland dei Theatre of Tragedy (ovviamente pre-registrate) che si alternano a quelle ben più ruvide e aggressive di Stanne. Dopo la devastante Final Resistance, che come al solito miete vittime tra i fans più scatenati, ci si avvia alla conclusione, tra un coro di "noooooo!" del pubblico, che vorrebbe vedere all’opera i Dark Tranquillity sulle assi da palcoscenico per molto più tempo. Chiusura dunque affidata a The Fatalist, che suggella una prestazione come sempre sopra le righe da parte degli svedesi, che ricevono applausi e ovazioni da parte di tutti i presenti, fans della band e non. Peccato non aver sentito nessun estratto dal capolavoro "The Gallery" e nemmeno da "The Mind’s I", ma è evidente come i DT negli ultimi anni stiano cercando di suonare pezzi diversi e di non fossilizzarsi sempre sugli stesi classici, anche se è ovvio che una "Lethe", "Punish My Heaven" o "Insanity’s Crescendo" non sarebbe dispiaciuto credo a nessuno sentirle!

Dunque si conclude qui la diciottesima edizione di questo festival, che per l’ennesima volta non delude affatto le aspettative. Pertanto appuntamento (si spera!) all’anno prossimo, per una nuova edizione… LUNGA VITA ALL’AGGLUTINATION…!!!

SETLIST:
1. Terminus (Where death is most alive)
2. In My Absence
3. The Wonders At Your Feet
4. The Treason Wall
5. The Mundane and the Magic
6. Lost To Apathy
7. Inside the particle storm
8. The Sun Fired Blanks
9. Zero Distance
10. Dream Oblivion
11. Misery's crown
12. There in
13. Monochromatic Stains
14. Final Resistance
15. The Fatalist

Angelo D'Andrea - www.Metal.it